Giallo, Recensione, Thriller

UOMINI CHE ODIANO LE DONNE

Titolo OriginaleMän som hatar kvinnor - The Girl with the Dragon Tattoo
NazioneDanimarca/Svezia
Anno Produzione2009
Durata152'
Tratto dadall'omonimo romanzo di Stieg Larsson
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Michael Blomkvist, giornalista d’inchiesta, dopo essere stato incastrato da un famoso magnate e condannato per diffamazione, viene ingaggiato dall’industriale Vanger per venire a capo della scomparsa della nipote Hariett, avvenuta anni prima.

RECENSIONI

Gelo svedese

Primo capitolo di una trilogia romanzesca, Uomini che odiano le donne è stato e continua ad essere un caso editoriale: milioni di copie vendute, lettori appassionati, uno scrittore, Stieg Larsson, che muore poco dopo la consegna delle bozze del terzo capitolo (si dice che il ciclo dovesse svilupparsi in una decina di tappe già abbozzate a larghe linee) e che riflette in quelle pagine, in una chiave avventurosa, la sua diretta esperienza nel mondo dell'informazione. Perché il libro è piaciuto così tanto? A mio avviso sono tre le ragioni principali:

1. La sagace e niente affatto scontata concezione dell'opera: in essa la detection si inscrive in un disegno più ampio, risulta elemento sì centrale, ma strumentale a una vicenda che è quella che riguarda lo smascheramento, da parte del protagonista Mikael, delle malefatte del magnate Wennerström e il relativo scoop di Millenium, il magazine economico in cui Mikael lavora e che emerge come il vero perno dell’intera vicenda (si parla non a caso di Trilogia Millenium);

2. Nelle pagine del romanzo il giornalista viene incaricato segretamente delle indagini sulla scomparsa di Harriett Vanger (delitto avvenuto decenni prima, elemento non meno inconsueto) e giustifica la sua presenza a Hedestad con l'incarico di scrivere un libro sulla ricca dinastia. Ciò è quanto di fatto avviene nei confronti del lettore: ecco dunque che, nel ricostruire le vicende della famiglia, Blomkvist offre una complessa e sistematica descrizione dei suoi membri, allestendo una complessa e dettagliata galleria di ritratti dei Vanger che da un lato vengono osservati al microscopio storico, dall'altro si dispongono in un'originale sfilata romanzesca di possibili sospetti.

3. Al minuzioso tratteggio dei possibili colpevoli si allineano le vicende dei due protagonsti principali: al già citato ritratto del giornalista è infatti associato quello di Lisbeth Salander, la grande invenzione dell'opera: freak traumatizzato e combattivo, intelligentissimo hacker, si rivela una ragazza prodigiosa, dotata di un potere incommensurabile: con i caratteri tipici del supereoe del fumetto, entra e esce dalle situazioni, agisce, vendica, punisce, decide della sorte dei personaggi (alla fine condanna a morte Wennerström).

Il film, per quanto riguarda il primo motivo, prevedibilmente pone la questione Vanger come esclusivo elemento di attenzione, fa retrocedere la questione Wennerström a mero accidente, liquidato come un dettaglio, e, meno prevedibilmente, relega Millenium a sparuta, insignificante quinta. Anche i collegamenti, in verità molto appetitosi in temini di tensione, tra Vanger e Wennerström spariscono del tutto. Il secondo motivo evapora anch'esso: bando alla cover story, Mikael si trova nel Gävleborg al conclamato scopo di indagare sul caso di Harriett (la famiglia diventa una sequela di nomi e di facce di cui si scordano presto i puntuali fatti e misfatti, rilevando solo le implicazioni dei patriarchi con il partito nazionalsocialista svedese – Larsson è stato uno studioso dei movimenti neonazisti scandinavi -); per quel che concerne il terzo motivo qui si entra nel cuore del film e della relativa analisi: il regista Oplev, tutto compreso nel chiaro tentativo di non deludere le aspettative dei lettori e di creare un adattamento che potesse risultare soddisfacente in termini di trama, si concentra moltissimo sull'intreccio e mano sui suoi personaggi. Se Mikael rimane l'uomo puro e idealista che risulta dalle pagine di Larsson (ma senza averne le passioni, gli slanci e i tormentati dubbi), Lisbeth (che domina i due successivi capitoli della Millenium Trilogy) ne esce come un carattere che si intuisce particolare, ma al quale nessun reale approfondimento è tributato (non bastano i tatuaggi e i piercing, il fulmineo riferimento alla sua bisessualità, una – in qualche modo – significativa scontrosità, la vicenda con il suo tutore – alla quale si concede tanto spazio solo perché moderatamente perversa e quindi di ottima presa sul pubblico – o la scena con la madre, che giunge in extremis, come una sorta di concessione last minute al Trauma e alla sua elaborazione possibile). Se alcune variazioni rispetto al romanzo risultano felicemente funzionali (l'incontro tra Lisbeth e Mikael, segnato dalla mail di lei, legato all'idea della ragazza come investigatore parallelo e “angelo custode”), niente risulta nel film delle ossessioni della fauna romanzesca, della loro disinvoltura nelle relazioni sessuali, dello stesso “odio” per le donne (che qui sembra un elemento quasi casuale e non un fil rouge che lega tutte le vicende, principali e secondarie, in gioco). A questo si aggiunga un registro visivo piuttosto dozzinale e uno svolgimento anonimo che tanto ci richiama la televisione nordica e che disprezza il dettaglio, preferendo la tenuta abborracciata dell'insieme. Più Ispettore Derrick che Twin Peaks, il film, nello svelare il lercio che si nasconde dietro l'algida facciata delle ghiacce dimore del piccolo insediamento altoborghese, ha comunque il merito di non snaturare l'essenza scandinava delle vicende e il loro spirito. In questo senso è una produzione orgogliosamente autoctona e la scelta, priva di compromessi, di dare ai personaggi volti non noti al pubblico mondiale è un punto a suo favore.
Una curiosità: come nel romanzo (dove raggiunge livelli francamente ignobili) il product placement di riferimento è Apple (il software e hardware dell'hacker WASP/Lisbeth...).
Gli altri due capitoli sbarcheranno presto nelle sale. Si parla peraltro di un remake americano con George Clooney. Non avevamo dubbi.

Quando un film non rielabora ma si limita a riassumere un romanzo, esce spesso sconfitto nel confronto: a volte può migliorarne le lacune (vedi ll Codice Da Vinci), a volte smascherarne, puntando all’osso, le matrici convenzionali, a volte impoverirlo senza tradirne le direttrici. Questo primo adattamento della fortunata trilogia “Millennium” dello svedese Stieg Larsson, sventurato scrittore morto per attacco di cuore prima di vedere il successo delle sue opere, rivela le convenzioni pur eseguendole egregiamente: si parte dal diario di Laura Palmer di Twin Peaks, si procede nelle indagini con una fotografia alla Antonioni/De Palma, per poi approdare ai soliti omicidi seriali biblici. Il regista danese Oplev ha dichiarato di aver cercato una sintesi fra thriller all’americana (Il Silenzio degli Innocenti) e all’europea (stile Nikita) e, per fortuna, si adopera per far emergere, dal solito thriller/giallo con serial killer, un curioso sottotesto che si riallacci al titolo, mettendo in campo varie situazioni di violenza alle donne. La carta vincente dell’operazione, come di tutta la trilogia (di cui questo è senz’altro il capitolo migliore), è però la Lisbeth Salander di Noomi Rapace, giovane hacker traumatizzata dalla violenza e votata a debellare (altri) “mostri”. Una 'pippi calzelunghe' letale. Nel romanzo, tanto convenzionale come poliziesco quanto efficace nella scrittura, si ha più tempo per descrivere i personaggi: Oplev fa quel che può (il formato televisivo per cui è nata la trilogia, nella sua maggiore durata, offre migliori chance a tutti e tre i capitoli), compone senz’altro un buon giallo, all’inizio faticoso per la condensazione delle pagine scritte, poi capace di sferrare bene i suoi colpi di scena.