
TRAMA
2000 anni di dogmi consolidati rischiano di essere spazzati via da un segreto che sta per essere rivelato. In gioco, oltre a molteplici interessi personali, c’è la credibilità della Chiesa Cattolica. L’origine di tutto è l’omicidio del direttore del Louvre, trovato morto all’interno del museo nella posizione dell’Uomo di Vitruvio di Leonardo. Il maggiore indiziato è l’ignaro professor Langdon, ma in suo aiuto interviene Sophie, la nipote della vittima.
RECENSIONI
Il più americano dei registi americani, Ron Howard, è chiamato a dirigere il più grande successo editoriale degli ultimi anni. Provando a prendere le distanze dal marketing, amplificato dagli strali (pianificati?) della Chiesa Cattolica che ha suddiviso l'umanità in sostenitori e detrattori, il film più atteso dell'anno si mostra per quello che è: un giocattolone che si diverte a riscrivere la storia. Con furbizia e abilità lo scrittore Dan Brown si è ispirato a opere d'arte ed eventi storici universalmente noti per dare sostanza romanzesca a teorie apparentemente rivoluzionarie, in realtà già ampiamente dibattute. Sull'onda della dubbia veridicità dei fatti narrati, mentre opinionisti, studiosi ed esperti, continuavano a discutere per stabilire cosa è autentico e cosa è fasullo, il libro, sospinto dal vigoroso polverone mediatico, si è aperto un varco nell'interesse dei lettori. Ovvio che Hollywood abbia fiutato l'affare. Nella fedelissima trasposizione, le pagine di Brown, già molto cinematografiche in fase di scrittura, permettono al thriller di snodarsi con fluidità, soprattutto nella prima parte che scivola piacevolmente. Poi, però, e succede anche nel romanzo, gli eventi si infittiscono, i colpi di scena si moltiplicano e la plausibilità, già vacillante, si perde per strada. Ciò che scricchiola nel testo d'origine, sul grande schermo si traduce in una frenetica, quanto meccanica, caccia al tesoro dove a risentirne sono i personaggi, piegati alla inevitabile scansione degli eventi. Forse è anche per questo che i due protagonisti appaiono un po' ingessati, soprattutto Tom Hanks. Il divo americano, penalizzato da un look da super-giovane che non gli si addice, appare spaesato e poco convinto delle teorie che è chiamato a dimostrare. Più in parte Audrey Tautou, anche se deve sobbarcarsi il ruolo, alla lunga fastidioso, di trait d'union tra le complesse congetture storiche e il pubblico, e pare il grillo parlante nel chiedere sempre il perché e il percome di ogni cosa. A livello visivo Ron Howard, che non si è mai distinto per fantasia e originalità dello sguardo, non osa più di tanto, ma si attiene con rigore e professionalità alla pagina scritta. Le uniche digressioni sono negli efficaci flashback, valorizzati dalla fotografia desaturata di Salvatore Totino, e negli interventi digitali, un po' scolastici ma funzionali a spiegare enigmi e suffragare tesi. A languire è forse la tensione, intrappolata nella rete del troppo e da una verbosità che appesantisce la già macchinosa sceneggiatura, ma lo spettacolo, pur nell'assenza di guizzi, si lascia guardare.

Il Codice Da vinci è un libro scritto coi piedi ma non gli si deve negare il modesto merito di, come si dice, “lasciarsi leggere”. Pur disseminato di inutili descrizioni da guida turistica, funestato da un non-stile di piattezza indicibile, incapace di dare un qualche segnale di vita ai suoi personaggi, ha però “ritmo”. La catena di colpi di scena, infatti, la cui frequenza raggiunge livelli da spassosa (auto)parodia, fa sì che ci si turi il naso e si divori questo cosiddetto romanzo in quattro e quattrotto. E’ dunque sommo lo stupore che ci coglie nel constatare la noia che Ron Howard e il suo (in)fido sceneggiatore Akiva Goldsman sono riusciti a “confezionare” con il loro Codice Da Vinci. Due ore e mezzo di pantano. Dal punto di vista dell’intrattenimento (il solo punto di vista possibile, tra l’altro), Il Codice film è un fallimento macroscopico: tempi sbagliati, inutili verbosità, svogliatezza registica quando ci vorrebbe polso action, inserti digitali da documentario di quart’ordine, minutaggio ipertrofico. E giù sbadigli. Si salvano solo alcuni flashback, girati con gusto, e gli attori, che invece sono addirittura perfetti (almeno in un’ottica di fedeltà alla fonte letteraria): degne trasposizioni cinematografiche delle pedine inanimate create da Dan Brown.

Trasposizione del best-seller di Dan Brown, mediocre romanzo altresì interessante per aver portato all’attenzione del grande pubblico alcune fonti alternative (o fanta-religiose) del Nuovo Testamento e la potenziale mistificazione operata da Costantino, che s’inventò la divinità di Gesù e nascose la discendenza di Maddalena per permettere alla Chiesa di governare in vece del ‘sang rèal’. Nei secoli, dunque, il valore del femminino è stato rovesciato come la coppa che lo simboleggia: questa “rivelazione” sul più grande insabbiamento della Storia avrà eccitato parecchi, fra rivendicazioni femministe e delusi dalla Fede. Nel libro l’ingranaggio “thriller” era pessima letteratura (soprattutto in espedienti e colpi di scena), nel film funziona discretamente e non dà tregua, anche grazie al disegno non unidimensionale dei personaggi, alla credibilità degli interpreti (la scena in cui Audrey Tatou se la prende con Paul Bettany) e al commento sonoro grave di Hans Zimmer, che promette in continuazione illuminazioni intime e rivelazioni: il resto lo fa un cinema d’intrattenimento che dà corpo all’eccitazione dinamica dissipata nella pagina scritta (da citare le acrobazie in retromarcia della Smart), alla natura da mera ‘caccia al tesoro’ che Brown dissimulava con la ricerca storica (e che il film, giustamente, cavalca solo per la spettacolarità: vedere l’excursus da kolossal su crociate e priorato di Sion), rendendo più efficaci le svolte tragiche (l’incidente che uccide i genitori della nipote), più sorprendenti (il tema del guardiano inconsapevole della mappa per il Graal) e sfruttando il permesso di girare al Louvre (per un milione di dollari), con i ritratti che paiono osservare sconvolti una vittima inseguita dall’albino. A parte le pagine sessuali e l’invettiva contro l’Opus Dei, l’opera non edulcora rispetto al libro la carica polemica nei confronti della Chiesa, intenta a proteggere se stessa e non Dio: semmai la mitiga in modo consono, preferendo la dialettica agli assunti dati per certi. Fra Storia, fede e intrigo, il modello di libro e film è ovviamente Il Nome della Rosa. In DVD si possono trovare 25 minuti in più.
