Comico

FANTOZZI

TRAMA

Le vicende del rag. Ugo Fantozzi, afflitto da moglie e figlia impresentabili, infidi colleghi, dirigenti disumani, calamità naturali assortite.

RECENSIONI

Ovvero, come tutto ebbe inizio: Fantozzi esce dal ventre della nebulosa megaditta (era stato murato nei cessi in disarmo) e si presenta con uno dei capitoli più felici (assieme al successivo Secondo tragico Fantozzi) della saga. Seguendo alti e bassi del difficile rapporto con l’“affascinante” signorina Silvani, il film detta le regole di un gioco destinato a proseguire per molti (e alla fine, pure troppi) anni: un inferno quotidiano visto attraverso la lente (per nulla) deformante dell’iperbole più grottesca, una comicità sinistra e avvelenata, con l’onnipresente voce over (dello stesso Villaggio) a scandire le stazioni (la crocifissione in sala mensa…) di un percorso che, fra citazioni irresistibili (la clinica per dimagrire modellata su Sciuscià, i deliri polari a Courmayeur), colpi bassi (la cena al ristorante giapponese) e brani da antologia (il party alcolico offerto dalla Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare), approda a un’apoteosi al fiele (il figliol prodigo che sguazza nell’acquario del Padre mai così padrone). C’è più di un momento dimenticabile (il cameriere, noiosa macchietta; il campeggio, sequenza inutile e stiracchiata), ma questo Fantozzi sfoggia una tenerezza rassegnata (le lacrime amare di Mariangela/“Cita”) e una sfrontata brutalità (la rissa automobilistica, la rimonta al tavolo da biliardo) presenti solo di rado negli episodi più tardi.

Il leggendario impiegato sfigato inventato da Paolo Villaggio (che gli resterà appiccicato per tutta la carriera) è nato in teatro, a Genova, è passato in Tv per “Quelli della Domenica” (1968), per poi approdare in due libri best seller (“Fantozzi” e “Il secondo tragico Fantozzi”) che hanno inventato un inedito universo grottesco, rinvenuto anche in un gergo originale (il mega direttore galattico, i capelli color topo, la poltrona di pelle umana, ad esempio) che, con matrici anche televisive, ha lasciato il segno per sempre nella cultura nostrana. Era inedito anche puntare i fari, attraverso la comicità, sulle storture della vita impiegatizia. Luciano Salce ha tentato, con successo, di dare corpo a tutte queste iperboli, fra un surreale trattenuto, esplosioni kitsch, vignette fumettistiche (è molto episodico), demenzialità e (apoteosi) rigirando addirittura La Corazzata Potemkin di Eisentein (di cui non ottenne i diritti): cinematograficamente ci sono stati dei precedenti che lo hanno aiutato, il misero impiegato de Il Cappotto di Lattuada, il realismo grottesco di La Classe Operaia va in Paradiso, L’Appartamento di Billy Wilder, Il Posto di Ermanno Olmi, la gita d’ufficio di “Una giornata decisiva” (episodio de I Complessi), le scene finali di Una Vita Difficile (Sordi umiliato dal commendatore), Mister Hobbs va in Vacanza con un James Stewart cui ne capitano di tutti colori (e con la stessa la voce fuori campo che commenta mordacemente se stessa in terza persona).