Supereroi

CAPTAIN AMERICA: CIVIL WAR

TRAMA

La comunità internazionale ha perso fiducia negli Avengers e si decide di monitorare i supereroi. C’è chi è d’accordo e chi no. E giù botte.

RECENSIONI

Chiarisco preliminarmente un concetto. Ho in soffitta molti scatoloni pieni di vecchi fumetti Marvel e, in misura minore, DC e Dark Horse. Jack Kirby, Stan Lee, Roy Thomas, Steve Ditko sono stati tutti nomi importanti per la mia infanzia/adolescenza. Anche molto importanti. Ma direi una grossa bugia se mi spacciassi per un vero appassionato di fumetti, meno che mai esperto. Continuo a leggere qualcosa ogni tanto (vedi Civil War) con meri intenti documentativi, per andare al cinema (un po' più) preparato, insomma. Perché questa inutile introduzione così inopportunamente personale? Perché Captain America: Civil War mi ha decisamente stupito. Meglio: mi ha stupito la sproporzione che c'è tra l'accoglienza entusiastica, specie tra gli appassionati, e l'effettivo risultato cinematografico, che mi è parso incommensurabilmente modesto. E l'unica spiegazione che mi sono dato è che, forse, la miniserie di Millar abbia qualcosa di talmente speciale, agli occhi dei fans, che la sola esistenza del film dei fratelli Russo sia, ipso facto, degna di nota e ammirazione parzialmente aprioristica. Si tratta, certo, di una spiegazione insufficiente, che si scontra con l'approvazione di quelli (molti anche loro) per i quali Mark Millar è un perfetto sconosciuto. Ma tant'è, non mi viene in mente altro.

Perché mi pare evidente che se si prova a svuotare il film del fascino residuale (e inerziale) legittimamente(?) suscitato dal fumetto, quello che rimane è un mezzo pasticcio. La partenza è macchinosa, la verbosità è mal tarata (si parla troppo per chi è già iniziato e forse troppo poco per chi non ha molta dimestichezza con l’universo Marvel), l’umorismo è un continuo riciclo che sa di atto dovuto, di copia e incolla poco sincero e poco convinto. A livello tematico, a guardar bene, non siamo affatto distanti dai noti grandi poteri / grandi responsabilità, dai rovelli interiori supereroistici, con poche varianti e molto fumo negli occhi. E la regia dei fratelli Russo è tutto fuorché convincente. L’inquadratura traballante nelle fasi concitate è un utensile registico parecchio demodé, oltretutto utilizzato in maniera impropria (i soggetti finiscono sovente  fuori-quadro), ed è un modo di girare inadatto alla fissità congenita al medium di partenza (si vedano, per converso, le scelte azzeccatissime dello Snyder di Watchmen e del Tim Miller di Deadpool). Mi sembra, insomma, che il film “in sé” sia un interminabile e tronfio pachiderma da quasi due ore e mezza che ha i soli meriti, evidentemente non secondari, di avvicinare (solo) concettualmente l’universo cinematografico Marvel a quello cartaceo e di lanciare nelle sale di tutto il mondo le solite esche narrative che proiettano i fans nelle magnifiche sorti e progressive dei prossimi film. Avremo Black Panther, lo sappiamo già. E avremo Spider-Man, introdotto in pretestuosa pompa magna e pronto a tornare nel reboot del reboot del quale, altrettanto evidentemente, in giro c’è tanto bisogno.

Continua il Capitan America secondo i fratelli Russo, fra azione dal vero, stretto necessario di digitalizzazione (coadiuva il “trucco” ma non lo sostituisce), cruccio etico e/ma più dinamismo. Secondo, anche, gli sceneggiatori Christopher Markus e Stephen McFeely, che ne seguono le vicende sin dall’esordio nel 2011. Il marvel-universe, però, nel frattempo ha trasformato le scene sui titoli di coda degli albori in prassi per intrecci e special guest: la linea narrativa principale conclude la parabola del Soldato d’inverno (e di Frank Grillo-Crossbones), trasponendo la miniserie a fumetti omonima (2006, di Mark Millar), ma il film non è solo una nuova puntata sul supereroe a stelle e strisce, bensì (anche) il nuovo Avengers e il nuovo Iron Man (con ruolo ingrato, dalla parte sbagliata della guerra civile e ottenebrato dall’ira). Nel privilegiare spettacolo e coralità, soffrono le motivazioni ad agire: non sono ben argomentate né le ragioni per cui Capitan America rifiuta i supervisori governativi, né il motivo per cui non gli pesino le vittime innocenti. Gli autori preferiscono la scorciatoia dell’incompreso che combatte solitario. L’azione, per coreografie ed invenzioni, è di qualità sopraffina (soprattutto i corpo a corpo), due ore e mezza di scontri e sconquassi, di meraviglie e battute ad hoc, di moti umani tragici e di epica, con un confronto senza esclusione di colpi fra supereroi che resterà negli annali (4 settimane per girare 16 minuti all’aeroporto di Leipzig, Germania). Nuovi personaggi con reboot: la Pantera Nera di Chadwick Boseman, l’Ant Man di Paul Rudd e infine Tom Holland, sgraziato, mingherlino e giovanissimo, che appare anche dopo i titoli di coda per annunciare che Spider-man è tornato in mano alla Marvel e ci sarà da divertirsi (con zia May giovane è bella: Marisa Tomei). Un film evento, uno showcase ben gestito per dare un ruolo a tutti.