TRAMA
Laura e Rey vivono in una casa affacciata sul mare. Lui è un regista, lei una body artist. Rey muore: incidente o suicidio? Laura è ora sola nella casa, ma ben presto la situazione cambia. C’è qualcuno lì con lei. È Rey.
RECENSIONI
Rey, il regista, vede all’opera Laura, la body artist: se ne innamora, pianta la sua donna, va via con lei. Come sempre Jacquot non cerca giustificazioni narrative alle azioni dei suoi personaggi, li fa governare da un istinto inverosimile che recide ogni discorso, passaggio interlocutorio, sviluppo-orpello. Mostra quello che deve accadere: l’incontro, l’amore, la fuga. E soprattutto quel riconoscersi, quello specchiarsi di anime che sarà premessa al discorso della reinvenzione del sé (e dei sé) attraverso l’arte da un lato e la follia dall’altro.
Dopo la convivenza e i suoi rituali, sopraggiunge la morte del regista (un suicidio?): la solitudine di Laura è consacrata al ricordo di Rey; l’uomo continua, dunque, a vivere in casa, a ripetere i gesti che compiva da vivo, è una presenza fantasmatica che si manifesta a Laura, attraverso Laura che la incarna: la donna ne indossa i vestiti, ne imita i comportamenti, usa i suoi oggetti, ne pronuncia le frasi, compone un copione fatto di paradossali reiterazioni, di inscenamenti continui di momenti di vita comune. Rey diventa la sua performance: da body artist quale è, fa del suo amato la sua interpretazione mimetica, il suo progetto artistico, un’esibizione masturbatoria che nasce da una coscienza suprema di sé, delle proprie sensazioni e dalla volontà di staccarsene per acquisire e mediare quelle del compagno morto. Laura porterà questo sdoppiamento in scena, lo consacrerà in uno spettacolo in cui due spiriti e due corpi diventano uno che li contiene entrambi.
Jacquot (come Don De Lillo nel romanzo da cui il film è tratto) non sottolinea il passaggio tra i due livelli, quello reale e quello immaginario, li mette in scena congelandoli nel medesimo tempo sospeso, lo stesso nel quale la coppia ha sempre vissuto, il tempo invariabile e fermo dell’isolamento volontario, quello di una coppia che ha creato un mondo bastevole a se stesso (la casa sul mare è il terzo personaggio), soggetto a regole proprie.
Così À jamais - oltre a confermare la tendenza di Jacquot al metadiscorso sul cinema come fantomatico mezzo espressivo impastato di immagini ricorsive, in grado di evocare e far vivere spettri (lo stesso Rey è un regista, non dimentichiamolo) - si rivela un film sull’amore e sull’ossessione come psicopatologia e strumento artistico, un conturbante enigma che si rilancia cumulando ambiguità e giocando con grande finezza su una complessa e stratificata duplicità dimensionale: quella del visibile e dell’invisibile, della vita e della morte, dell’arte e della vita, della perdita e di un’elaborazione del lutto praticata in forma di replica disperata, ricostruzione artefatta, rivisitazione critica di un sentimento e delle modalità con cui è stato consumato.
