Drammatico, Recensione

LA FINESTRA DI FRONTE

TRAMA

Giovanna è una moglie indaffarata. Di fronte all’incontro con un anziano reduce dai campi di sterminio nazisti, riconsidera le proprie scelte, soprattutto quelle riguardanti il suo affascinante dirimpettaio.

RECENSIONI

Abituati a vederci sempre dalla stessa angolazione, in una obbligata soggettiva che fatica a mantenere lucidita' nello sguardo, rischiamo di non capire la direzione che stiamo imprimendo alla nostra vita. Anche questo racconta il bel film di Ferzan Ozpetek, che dopo il successo di "Le fate ignoranti" torna a parlare con pudore e (maggiore) incisivita' di sentimenti. Giornate in apparenza sempre uguali fluiscono nell'ignavia, fino a quando un incontro casuale puo' aiutare a cambiare le prospettive. Come in tutti i lungometraggi del regista italo-turco, il soggetto e' molto intrigante. Se nel film precedente la brillante idea di partenza sfumava in una serie di luoghi comuni, ne "La finestra di fronte" Ozpetek riesce a mantenere fino alla fine una grande tensione emotiva, un miracoloso equilibrio nel dipanare il non facile destino dei personaggi. Al centro della storia, una famiglia con due giovani sposi con prole, stanchi della routine matrimoniale che regala piu' impegni che soddisfazioni. L'unica via di fuga, per l'inquieta Giovanna, diventa spiare il bel tenebroso nell'appartamento di fronte, che sembra racchiudere gli ideali inespressi di una vita piu' subita che davvero vissuta. A smuovere il mesto menage familiare arrivera' un vecchio che nasconde un prezioso segreto. Il film procede intrecciando i molteplici fili narrativi in una sorta di thriller dei sentimenti, con colpi di scena, scoperte inaspettate, complicita', liti, riconciliazioni. Davvero tanta la carne al fuoco, ma il regista riesce a dosare i vari ingredienti mantenendo alto l'interesse e, soprattutto, rendendo i personaggi vivi. La famiglia e' solo in apparenza "tipo", in realta' e molto ben caratterizzata. Bella l'idea di una protagonista che lavora come contabile in un'azienda che macella e confeziona polli ma sogna di diventare una provetta pasticcera. Con piccoli sapienti tocchi, quindi, i personaggi escono dal "tipo" e acquisiscono uno spessore autentico, in grado di parlare in modo diretto. Molto azzeccato anche il cast: Giovanna Mezzogiorno ha carisma da vendere, anche se rischia di restare imprigionata in personaggi tosti e incazzosi (i bisticci casalinghi ricalcano un po' troppo le liti de "L'ultimo bacio"); Filippo Nigro e' un credibile marito a mezze tinte che alterna slanci affettivi a rigidita' caratteriali; Raoul Bova non sfigura in versione Clark Kent nel ruolo dell'introverso e un po' bamboleggiante bancario; ritroviamo Serra Yilmaz, che e' un po' una macchietta dalla evidente funzione sdrammatizzante (ma almeno e' simpatica e fa ridere) e Massimo Girotti conclude la sua carriera con un'interpretazione vibrante e sensibile. Come al solito far recitare i bambini non e' facile e alcuni quadretti familiari sanno un po' di artefatto. Ma il film riesce a toccare le corde giuste per emozionare, racconta in modo non banale il "must" del millennio "diventa quello che sei" e non limita lo sguardo alla dimostrazione di una tesi, ma aggiunge dettagli narrativi importanti e ricchi di implicazioni.  Determinante il contributo sonoro di Andrea Guerra e la scelta delle canzoni. In particolare "Gocce di memoria", cantata da Giorgia, che conclude con perfetto tempismo la bellissima sequenza finale. Sarebbe divertente un faccia a faccia tra i personaggi di Ozpetek e quelli di Muccino, evitando i fatui salotti televisivi ma preferendo un pub, magari davanti a una birra schiumosa. Chissa', forse l'intenso monologo finale della protagonista riuscirebbe a placare il cinismo dei membri della famiglia Ristuccia e a dare un senso meno effimero all'ansia di "essere ricordarti" che li affligge.

LA FINESTRA DI FRONTE è il cinema di Ozpetek, pregi e difetti: un indiscutibile occhio, una certa predisposizione all'immagine di pregio, un soggetto meditato e ben costruito ma anche dialoghi in eccesso - non di rado banali -, una certa propensione al facile effetto, un fondo retorico che stona alquanto. Il film guadagnerebbe da una tendenza alla sottrazione che è quanto manca all'Ozpetek sceneggiatore che, privilegiando l'accumulo, preferisce sempre estenuare l'ordito piuttosto che sfrondarlo. Questa pellicola, dunque, se rappresenta senz'altro un passo in avanti rispetto a LE FATE IGNORANTI, rimane però prodotto non perfettamente calibrato, troppo spesso lezioso e sbilanciato, che si gioverebbe di un'asciuttezza ancora sconosciuta al regista; un peccato, perché certe incertezze non ci sembrano così insormontabili: come si fa a contrapporre a un personaggio ben tratteggiato come quello di Giovanna uno stereotipo come quello di Lorenzo, fiaccato peraltro dall'infelice scelta attoriale (un manichino di nome Raoul)? Dov'è l'appeal di costui? Domanda non da poco visto che sull'attrazione tra i due si gioca buona parte della partita tematica. Perché oberare certe scene, che dai silenzi non avrebbero che da guadagnare, di frasi e passaggi dialogali superflui e telefonatissimi? Anche così LA FINESTRA DI FRONTE ci pare comunque un film dignitoso che intreccia i fili tramici con minime sfasature, fa interagire passato e presente con buona spigliatezza, opera sulle cornici, i cadrage compositi, i riflessi visivi e temporali, gioca con le prospettive di sguardo in modo intelligente e consegna al pubblico una prova d'attrice che merita di essere ricordata.