TRAMA
Come ha fatto James Howlett, detto Logan, a diventare Wolverine, il più popolare dei supereroi mutanti del gruppo X-Men?
RECENSIONI
Annunciato come spin-off arriva invece come sequel. Nel timore di perdere qualche spettatore per strada il titolo mantiene infatti il brand "X-Men" e segue la moda del periodo cioè, avendo poco da aggiungere, andare a ritroso. Di prequel quindi si tratta. Il film va così alle origini del mito di Wolverine, il rabbioso mutante artigliato, sicuramente il più carismatico del gruppo, e ne dettaglia l'evoluzione dei poteri e il conflitto atavico con il fratello Victor (nome da battaglia Sabretooth). Uno violento per necessità, l'altro soprattutto per divertimento, entrambi indistruttibili e destinati alla solitudine. La scelta, spiazzante, di affidare la regia del giocattolone al sudafricano Gavin Hood, Oscar per Il suo nome è Tsotsi e poi debuttante a Hollywood con l'insuccesso Rendition - detenzione illegale, si rivela, a sorpresa, una carta vincente. Dopo il declino degli ultimi due capitoli, infatti, tutti azione fracassona, brutti effetti speciali e problematicità solo apparente, per gli X-Men c'era bisogno di aria nuova. E Hood si dimostra in grado di maneggiare il lato action, inevitabile dato il genere e il target di riferimento, senza però annullare quello umano. I personaggi, perlomeno i principali, non sono semplici manichini ghignanti e irascibili, ma, pur nell'elementarità delle contrapposizioni, hanno uno spessore che consente di far risaltare punti deboli e peculiarità caratteriali. Il che favorisce il coinvolgimento. A una prima parte avvincente e ben scandita anche a livello narrativo, con meno parole del solito e molti fatti a spiegare senza dare l'idea di farlo, segue una lunga resa dei conti assai meno efficace. Con l'arrivo sull'isola in cui sono tenuti prigionieri i mutanti, infatti, i nodi da sciogliere sono ancora tanti, ma tutto è buttato un po' lì senza preoccuparsi troppo di renderlo plausibile. Non aiuta in questa fase l'anonimato dei fondali digitali, che optano per un décor post-apocalittico troppo vicino alle atmosfere di un qualsiasi videogame. Tra colpi di scena, duelli, sacrifici, vendette, il finale arriva sbrigativo, ammosciando l'interesse fino ad allora suscitato per il destino dei personaggi (l'uscita di scena del fratello cattivo è davvero poca cosa e non si ha il tempo di metabolizzare la rentrée femminile). Il confronto tra ragione e pulsioni resta aperto, ma l'intenso e luciferino Liev Schreiber vince la sfida contro Hugh Jackman, che ha di sicuro le physique du rôle ma sul piano espressivo è di una spanna inferiore al rivale. Superflua la gag dopo i titoli di coda.
Spin-off della serie X-Men, poteva trasformarsi in uno dei migliori capitoli cinematografici della saga Marvel, essendo incentrato (con più di una libertà rispetto al fumetto) su di un personaggio ammaliante ed ambivalente, feroce, animalesco, istintivo, crudele e/ma tormentato. Il regista Gavin Hood e Hugh Jackman (anche produttore) perdono un’occasione unica: prima di tutto, commettono lo stesso errore, amplificandolo, dei vari X-Men, nel momento in cui ammansiscono l’animale Wolverine, facendogli perdere il 70% del fascino. Sulle strisce, quando Logan va su tutte le furie, fa una strage. Poi, magari, si pente o si eclissa: ma il magnetismo della belva ferita che reagisce permane. Né regista né sceneggiatori, poi, sanno raccontare: l’intreccio, nella prima parte, è talmente basico da essere telefonato; nella seconda va a segno qualche buon colpo di scena ma non c’è alcuna capacità (o intenzione) da parte di Gavin Hood di portare a galla quei sottotesti, paralleli, rimandi, mitopoiesi, archetipi, studi psicologici cui ci avevano abituato altre puntate dei supereroi Marvel. La sua piatta, inerte regia non esalta (annichilisce anche i passaggi potenzialmente colmi di pathos e rabbia che potevano fare la differenza), articola, scava: Louis Leterrier (Hulk) e Jon Favreau (Iron Man), pur considerati autori commerciali senza personalità, hanno saputo dare molto di più rispetto a questo “autore” (Il suo Nome è Tsotsi, Rendition) che frequenta i festival e li vince. Non resta che il piacere, per gli appassionati, di ritrovare in immagini in movimento vecchi compagni di letture giovanili e, per tutti gli altri, una parte finale dove, dopo oltremodo lunga attesa, diventano protagonisti gli effetti speciali.