Recensione, Supereroi

WONDER WOMAN

TRAMA

Diana decide di lasciare l’isola delle amazzoni per seguire un capitano della RAF nella Grande Guerra: ha scoperto che i tedeschi hanno in mano un gas letale che comprometterà l’armistizio. È in cerca del dio Ares, convinta ci sia dietro lui.

RECENSIONI

L’apparizione di Gal Gadot come Wonder Woman nel finale di Batman V. Superman era la cosa migliore del film: bella, brava, micidiale. Con un film che la vede protagonista, la DC Comics aveva l’occasione di risollevare le sorti artistiche, se non finanziarie, delle sue uscite cinematografiche. Gal Gadot è un’animale da palcoscenico: ex-soldato, modella e miss Israele nel 2004, ha sempre il sorriso giusto, lo sguardo giusto e la sinuosità atletica giusta. Le coreografie inventate per lei, fra salti e piroette, sono superlative come le amazzoni che la circondano: riuscito anche il design del suo costume, upgrade di quello kitsch e patriottico di Miss Mondo Linda Carter nella serie Tv del 1975-1979. Gli autori si riallacciano alla figura inventata da William Moulton Marston nel 1941 (nella testata ‘All Star Comics’), con piglio femminista di cui la regista di Monster Patty Jenkins approfitta in veste di prima regista di film di supereroi: ci si basa su di un soggetto del solito Zack Snyder in cui donne superiori devono portare la pace fra maschi guerrafondai (Diana si stupisce anche per l’usanza del matrimonio e per il maschilismo imperante). Scegliendo la matrice ‘storica’ (come la prima stagione della serie Tv, ambientata nella Seconda Guerra Mondiale), l’opera pare fare il verso alla Marvel di Captain America: funzionano la prima parte “mitologica” ambientata nell’isola di Themyscira, i combattimenti, la rivalsa della dea che sbaraglia la ferocia umana e gli splendidi scenari naturali (girando tra i sassi di Matera, la spiaggia di Palinuro, Castel del Monte, Marina di Camerota e la costiera amalfitana). Le incrinature, come sempre per la DC, sono parto della sceneggiatura firmata dall’Allan Heinberg della scuderia ‘Shonda Rhimes’, che s’adagia su cliché che non sa utilizzare: le battute fra Gadot e Chris Pine, alla ricerca della commedia sentimentale piccante, spezzano l’incanto come la retorica dei concetti per l’apologo risaputo (la razza umana in fondo meritevole di salvezza e così via).