TRAMA
Nel 1650 Bill Goodfellowe, cacciatore di professione, viene assoldato dal Lord Protector, comandante delle truppe di occupazione inglesi nella città irlandese di Kilkenny, per sterminare il branco di lupi che minaccia gli abitanti. Nel tentativo di aiutarlo, sua figlia Robyn lo segue nei boschi dove incontra una misteriosa bambina, Mebh, che sembra avere un legame particolare con questi animali.
RECENSIONI
“Da quanto dura questa cantilena, / non correre da sola dentro il bosco, / non fermarti da sola per la strada. / Non devi mai fidarti dell’estraneo / Che s’avvicina a te con gentilezza. / La beltà s’accompagna alla saggezza. / Il lupo assume le più strane forme,/ con l’ambigua parola che t’inganna: / mai lui rivelerà i propri intenti./ Più dolce la sua lingua,/ più aguzzi i denti.” In Compagnia dei Lupi
Il lupo e il bosco sono due archetipi affascinanti da sempre presenti nelle fiabe e nel folklore popolare, spesso oggetti di interpretazioni psicoanalitiche che identificano nel primo la dualità della seduzione maschile (bell’aspetto e modi eleganti da una parte, violenza e brutalità dall'altra) e nel secondo il luogo del pericolo, della maturazione e della trasformazione. Al cinema, tra i tanti, Neil Jordan con In Compagnia dei Lupi (1984) e Rob Marshall con Into the Woods (2014) - senza contare tutta la sconfinata filmografia fantasy dedicata ai licantropi - hanno detto la loro sull’argomento, ognuno a modo proprio; uno con tocchi horror, stranianti e un po’ posticci, l’altro con la coreografica frivolezza musicale di Broadway. Wolfwalkers offre una deliziosa variazione sul tema che si rifà al folklore irlandese e alla leggenda dei lupi mannari di Ossory. Le basi del fiaba solo le stesse (mutazione nell’animale in seguito a un morso), ma a trasformarsi è lo spirito, che abbandona il corpo addormentato e sempre in forma umana, per correre nei boschi in piena fusione con la natura.
Nel film, la scelta di due ragazzine offre uno sguardo al femminile piuttosto inedito e un’occasione per raccontare un difficile rapporto padre-figlia, che si risolve solo nell’atto di porsi in una prospettiva diversa, di guardare l’altro da sé, letteralmente, con altri occhi. Spesso la trasformazione in animale è un espediente atto a svolgere tale funzione, soprattutto nel cinema di animazione che meglio si presta ai virtuosismi grafici di una metamorfosi (La Bella e la Bestia, Koda Fratello Orso, La Principessa e il Ranocchio, Ribelle, tra i tanti), ma in Wolfwalkers si arricchisce di connotazioni storico-culturali. Il film si ispira infatti allo sterminio dei lupi realmente avvenuto nel XVII secolo in Irlanda da parte degli inglesi comandati da Oliver Cromwell (figura a cui rimanda il personaggio di Lord Protector) durante la conquista della stessa. Uccidere il lupo e abbattere le foreste, simboli della cultura irlandese, significava minare l’identità stessa di quel popolo per assorbirlo e asservirlo al governo londinese, tutti elementi osservati nel film attraverso la lente del fantasy: Mebh, la rossa e selvaggia bimba-lupo, è l’espressione di un paganesimo morente, minacciato dall’evangelizzazione inglese che rade al suolo la natura per costruire centri abitati.
Lo studio irlandese Cartoon Saloon, che ha all’attivo altri tre splendidi lungometraggi (The Secret of Kells, La Canzone del Mare, I Racconti di Parvana), sceglie di ambientare il film proprio a Kilkenny, città nella quale è stato fondato e attualmente risiede, e lo fa con la maestria e il tocco che lo ha reso famoso: il design stilizzato e ricercato - sempre a metà tra l’iconografia cristiana e pagana - insieme ad una curatissima composizione formale dell'inquadratura - che si avvale di una prospettiva non lineare già marchio di fabbrica e a sua volta ispirato a La Bella Addormentata nel Bosco disneyana - si arricchisce stavolta di un tratto sporco, composto da più linee, vibrante, opera del fumettista nonché ex-animatore Disney Cyril Pedrosa, che cattura alla perfezione l'irrefrenabile e mutaforme essenza della natura e delle sue creature fantastiche. Questa volta le animazioni, sempre rigorosamente in tecnica tradizionale, si avvalgono di un nuovo software CG che ha facilitato la realizzazione delle sequenze d’azione estremamente dinamiche e fluide. La dicotomia tra foresta e città, parte essenziale della narrazione stessa, è cromaticamente e stilisticamente ben evidenziata da un art design che scolorisce e desatura le architetture, formalmente costrette in rigide geometrie, mentre esplode in variopinte cromie dalle tinte pastello nelle lussureggianti e rotonde forme della flora e della fauna. Nulla si può rimproverare a quest’ultima opera di Tomm Moore (The Secret of Kells, La Canzone del Mare), forse la più compiuta ad oggi nella sua breve filmografia per equilibrio formale e contenutistico, figlia di uno studio europeo che fa della propria identità artistica e storico-culturale la principale arma di difesa contro l’assalto e l'omologazione dei giganti (americani e non) dell’animazione CG, e lo fa senza grosse ambizioni in termini di storytelling e sviluppo, tutto sommato mai davvero originali (non che ce ne sia l’obbligo), ma coniugando con coraggio, come sempre, intrattenimento e poesia, arte e storia.