TRAMA
RECENSIONI
Ridley Scott ha questa strana capacità di far convivere la produzione tripla A e lo scivolone da B Movie deteriore, tendente al trash. Può essere una caratterizzazione macchiettistica, uno stereotipo irricevibile o una improvvisa impennata splatter, il marchio di fabbrica scottiano salta (quasi) sempre fuori. Tutti i soldi del mondo non fa eccezione ma rappresenta, anzi, una specie di exemplum. Il personaggio di Paul Getty non di rado accarezza ipotesi di complessità scespiriana ma spesso sembra far confluire la figura di Charles Foster Kane in quella di Montgomery Burns; la gestione degli spazi e dei tempi, la scansione ritmica del film, trasudano esperienza (ed efficacia) ma l’inseguimento finale precipita in atmosfere alla Commissario Rex; l’amputazione dell’orecchio è girata con una dovizia di dettagli grafici sproporzionata rispetto al contesto; l’Italia sembra uscita da una cartolina degli anni ’50 e i personaggi italiani, specialmente i malavitosi, presi da un film Abrahams, Zucker & Zucker. Solo per citare gli elementi macroscopici.
In più ci si mette il doppiaggio. Non ho visto in film in v.o. ma nella copia doppiata passata nelle sale, l’impressione era quella di trovarsi di fronte a uno scempio simile a quello “storico”, perpetrato ai danni de Il Disprezzo di Godard. O per dirla in altri termini, più prosaici e nostrali, dalle parti dei paradossi linguistici di roba tipo Natale a Miami o Christmas in Love, in cui tutti parlano un italiano, a dispetto della nazionalità, e gli attori che interpretano se stessi parlano con la voce dei loro doppiatori (Ron Moss). Ecco, nel film di Scott, i personaggi, a prescindere dal luogo in cui si trovano, il ruolo o l’estrazione sociale, parlano tra di loro in italiano perfetto, e tutti si capiscono perfettamente. Con la Sospensione di Incredulità che saluta (in italiano) e se ne va.
Tutti i soldi del mondo è un po’ questo. Uno strano mixed bag di ambizioni e scivoloni, regia attenta e sciatta, scrittura efficace e trasandata. Se a questo si aggiunge l’incredibile vicenda della sostituzione last minute di Kevin Spacey con Christopher Plummer, si ottiene come risultato un film quasi simpatico da quanto è strano, sbilanciato e probabilmente sbagliato. Anche perché, diciamolo, per larghi tratti è un onestissimo thriller da multisala di lusso, recitato complessivamente bene e diretto da un regista che, quando è in vena (e ha voglia), sa come soffocare gli sbadigli sul nascere.