TRAMA
Poppy, ora regina dei Pop Trolls, e Branch partono in viaggio per fermare Barb, malvagia regina dei Rock Trolls, che sta conquistando tutti i regni per distruggere tutti i generi musicali e imporre il proprio.
RECENSIONI
Trolls World Tour rappresenta l’ultimo arrivato nel franchise Dreamworks dal modesto successo basato sulle famose bambole danesi create da Thomas Dam negli anni ‘60; a quel Trolls simpatico e divertente del 2016 fecero seguito dei corti, uno televisivo (Trolls Holiday) ed altri, brevissimi, per il web, e una serie tv in 2D per Netflix. Se non fosse per le circostanze in cui questo sequel è uscito, la recensione sarebbe presto fatta: seguito da manuale, vagamente ispirato, più nel concept che nella realizzazione, che regala ai più piccoli un nuova avventura, dalla morale pedante ma edificante, tantissimi nuovi personaggi, e una confezione coloratissima e impeccabile. In sostanza, nulla di nuovo a Hollywood e ancora meno a ToonTown … - in italiano Cartoonia, per i vecchi nostalgici che sicuramente la ricorderanno in Chi Ha Incastrato Roger Rabbit? - se non fosse per il fatto che la sua uscita ha rappresentato un precedente che rischia davvero di scuotere tutte le certezze su cui il sistema distributivo hollywoodiano si è finora basato. La sua release originale era prevista in centinaia di cinema ad aprile 2020, fino a quando l’emergenza sanitaria causata dal COVID-19 ha costretto gran parte della popolazione mondiale a casa, rendendo impossibile, tra le tante altre cose, una visione in sala. La Universal, distributrice del film, ha deciso, con una mossa senza precedenti per un blockbuster e tra lo stupore di esercenti e competitor, di far uscire il film direttamente in VOD, alla “modica” cifra di 19,90$ per l’affitto della durata di qualche giorno, che se non altro ha il vantaggio di essere condiviso in famiglia senza sovrapprezzi. La motivazione ufficiale è stata che, ormai, le spese di marketing e gli impegni con gli altri partner erano in stato talmente avanzato da rendere economicamente svantaggioso un rinvio; tanto valeva rischiare il tutto per tutto e salvare il salvabile.
Eppure, stando ai dati, il film si è rivelato un successo insperato, capace di raggranellare in pochi giorni ben cento milioni di dollari nei soli Stati Uniti, ben oltre quanto, secondo le stime, avrebbe fatto nei cinema americani, cifra che sarebbe stata da dividere con gli esercenti. L’esperimento riuscito non è passato inosservato ed ha convinto altri studi a seguire tale strada, anche se con film considerati meno hot (il live- action Artemis Fowl, flop annunciato, per Disney e il cartoon SCOOB! per Warner). Ma a creare scalpore e malcontento sono state le dichiarazioni della dirigenza Universal che, forte del riscontro incoraggiante, ha rivelato che in futuro avrebbe distribuito molti dei suoi film in contemporanea al cinema e in pay-per-view, rompendo la finora considerata sacra theatrical window, vale a dire un lasso di tempo di minimo 90 giorni dall’uscita in sala alla vendita in home-video, e di 74-76 giorni per l’inizio allo streaming. Alle minacce di un boicottaggio dei futuri titoli Universal da parte delle principali catene di cinema americani, ha fatto seguito un botta e risposta tra le parti in causa, conclusosi, per il momento, in un nulla di fatto. A queste si aggiungano le rivendicazioni di gran parte del cast che attende ancora, come da contratto, delle percentuali su incassi cinematografici mai pervenuti.
C’è da aggiungere che lo streaming, se da una parte si è rivelato un fondamentale alleato nella lotta alla pirateria, dall’altro ha contribuito anche alla sparizione dalle sale cinematografiche dei film a medio budget, in genere pellicole originali dal costo di qualche decina di milioni di dollari, che ormai poco stimolano e/o convincono lo spettatore a pagare il prezzo del biglietto e recarsi fisicamente al cinema. Netflix e le varie piattaforme concorrenti si sono rivelate la perfetta collocazione per questo tipo di prodotto, mentre film a micro/basso budget (spesso di genere), indie, e tentpoles si sono impossessati della sala. Non stupisce quindi che la mossa di distribuire direttamente in VOD blockbuster dall’alto potenziale come Trolls World Tour abbia scatenato le paure degli esercercenti. Tuttavia, “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo, e tutto ciò è valido anche a Hollywood; del resto non si tratta certa della prima rivoluzione introdotta dai tempi dei fratelli Lumière. E sarebbe un bene che anche Cartoonia apprendesse questa lezione e si decidesse a innovare formule e clichè ormai stantii nella produzione di sequel di successo (e non solo), seguendo l’esempio di Disney e Pixar, che con Frozen II e Toy Story 4, rispettivamente, hanno dimostrato che è sempre possibile mantenere brillanti e sorprendenti franchise datati e/o iper-sfruttati. Trolls World Tour parte bene nella sua premessa di ampliare non semplicemente il mondo, ma tutta la mitologia dietro questo universo fatto di feltro e brillantini. Si definiscono, quindi, le varie razze di Trolls attorno a ciò che funzionava meglio nel film originale, ovvero la musica, e, nello specifico, li si lega a un genere: pop, classica, funk, techno, rock e country. Peccato che lo sviluppo di tale premessa non sia altrettanto interessante, goffo nella spiegazione dell’esistenza di tutti gli altri generi musicali, e piuttosto sbrigativo e impreciso nella definizione degli stessi, limitandosi a semplici luoghi comuni. Non solo, l’intero concept non fa altro che ribadire quanto già detto nel precedente episodio, ovvero una morale, qui spiattellata e declamata, sulla tolleranza e la celebrazione della diversity, ora più che mai di moda. Restano, come sempre, qualche sorriso, momenti divertenti, e motivetti orecchiabili. Viene davvero il dubbio che non si tratti di intrattenimento di alta fattura per l’home-video.
