TRAMA
Una famiglia in ostaggio.
RECENSIONI
Trespass è l’esempio lampante di come un remake possa violare la sua suggestione di partenza, dalla quale assimila, mal digerendoli, gli spunti più macroscopici, prendendosi poi alcune libertà di rivisitazione che hanno il potere di semplificare nell’assurda ridondanza l’interessante materiale di partenza.
Secuestrados nei limiti e pregi del puro esercizio di stile ipertensivo, ricco di costruiti piani sequenza, inquietanti profondità di campo, affrontava con un taglio netto la messa in scena di una psicosi tanto attuale per dinamiche sociali quanto ancestrale per risvolti inconsci: la Casa vista come luogo non sicuro, ingestibile, minacciato, metafora alquanto chiara della smottamento a cui è soggetta l’Istituzione per eccellenza. Di famiglia si tratta e Miguel Ángel Vivas si divertiva con una spietatezza sempre attenta al gioco di genere, estremizzando le situazioni con quel piglio della “nuova” frontiera iberica che nel limbo tra thriller e horror è riuscita ludicamente a schiaffare sullo schermo il disagio di un Paese. Senza dimenticare che le riflessioni vengono mediate dallo strumento cinema e dalla sua applicazione teorica.
Cosa che, a quanto pare, Joel Schumacher ha perso di vista, battendo grancassa su un approccio opposto che ricerca nell’uso dell’agone retorico tra le due parti (sequestrati-sequestranti), spiccatamente beffardo, un taglio tutto suo, prediligendo con affanno delle situazioni dove la famiglia mostra la sua ipocrisia e ambiguità dei legami di fronte all’istinto, individuale, di sopravvivenza. Quest’ultimo pronto ad indossare maschere sempre diverse per aggirare maldestramente in primis lo spettatore (ci sono, ci fanno, sono furbi, hanno dimenticato il copione?) e poi i carnefici che, per certe derive ruffiane, si vorrebbe delineare come vittime inconsapevoli di un sistema economico che cerca di mantenere il suo status orgoglioso pure in tempi di Crisi.
Inciampando su ribaltamenti continui, acuti che mostrano la propria inadeguatezza nel prendere in mano la difesa del proprio spazio domestico, la famiglia di Trespass, lontana dall’aver un padre autoritario e autorevole, lontana dall’avere una moglie credibile nell’essere insoddisfatta dal suo matrimonio, lontana dall’avere una figlia che vuole emanciparsi, si perde nel complesso di un’opera non capace di sviluppare un nodo problematico.
Se Secuestrados lasciava nel buio più assoluto la banda di Albanesi e focalizzava la tragedia nell'incubo e nella dissacrazione del nucleo famigliare, Trespass sente la necessità di spiegare tutto, quasi si trattasse di una dinamica rassicurante per esorcizzare la blasfemia verso un tabù in crisi ma che è pur sempre il fondamento di una sana società.
E tralasciando snodi narrativi improvvisi, climax schizofrenici, incongruenze generali, ciò che inquieta di più è il ritorno all'ordine, la scrematura di tutti quegli interrogativi che fino a quel momento potevano far pensare a un tentativo superficiale di 'riflessione antropologica'. Nemmeno questa ci è concessa, perché Trespass fa trionfare con scelleratezza la più grande illusione di tutte, ovvero che lo sgarro della norma, l'infrazione dell'ideale può tranquillamente ambire alla giustificazione, perché, a conti fatti, il Male è sempre esterno, basta riconoscerlo e tirarsi su le maniche.
