Drammatico, Sala

THE RUM DIARY

NazioneU.S.A.
Anno Produzione2011
Durata120'
Sceneggiatura
Tratto dadall'omonimo romanzo di Hunter S. Thompson
Fotografia

TRAMA

Paul Kemp è un giornalista che inizia a scrivere per un giornale locale di Puerto Rico. Un susseguirsi di eccessi e incontri differenti, lo porteranno in un vortice di degradazione.

RECENSIONI

Questo ennesimo Sogno Americano ha una prospettiva talmente distanziata, con la sua perniciosa retorica, da privarsi di ogni problematicità.
Un'altra macchietta degna di un attore smarrito quale è Johnny Depp. Tra i fumi dell'alcool ed estraniante (auto)ironia, il protagonista vive la vacanza a Puerto Rico, abbracciando (per una cotta amorosa) la dittatura economica degli orgogliosi bianchi per poi allontanarsene in preda a una crisi etica che caratterizza sempre ogni libero intellettuale.
The rum diary rispecchia un mito tramontato senza impelagarsi dentro territori incandescenti, lasciando i suoi personaggi (in particolare Paul Kemp) a girovagare dentro un contesto definito e ineluttabile nella sua evoluzione.
C'è poco da comprendere, è tutto chiaro oltre che già visto.
Un cinema di forzata innocenza e dal cuore beat che cerca di esorcizzare, attraverso l'avventura, un passato ormai ben riconoscibile anche nel presente e dove la denuncia della speculazione del potere (media, industria pesante, edilizia) è descritta con l'autodistruzione (fisica) e l'ambiguità (morale).

Kemp osserva con un binocolo la televisione dei vicini, spende parole sulla campagna elettorale di Nixon e profetizza in quattro e quattr'otto l'uccisione dell'irlandese Kennedy.  Sempre con un binocolo si improvvisa voyeur e contempla l'amplesso acquatico tra la bella Chenault e l'imprenditore Sanderson (con tanto di suoni onomatopeici per sottolinearne il godimento). Due trovate comiche (il film ne è sconclusionatamente pieno) rendono bene l'idea di Robinson nel voler collocare lo sguardo del giornalista in un limbo, che da una parte è obiettivo nel comprendere l'anima dell'America, ma dall'altra è desideroso di far proprio il suo sogno, sperimentandolo.
Si può anche in parte legittimare il totale disinteresse e la mancata focalizzazione del film sulla società portoricana (vera vittima della politica estera democratica), perché in The rum diary è usata solo come sfondo per riflettere superficialmente sull'animo di una civiltà, quella dei bianchi, quella corrosa e marcia fino al midollo.
Allo stesso tempo però non si possono giustificare e accettare situazioni e personaggi privi di qualsiasi profondità, nei quali il ritratto caricaturale è talmente marcato e palese da sembrare quasi didascalico.
Ci pensa Depp (guarda caso provando un po' di ioscina), a spogliare la menzogna e a vedere, in preda all'allucinazione, le verità fondamentali.
Se il vis-à-vis con un'aragosta intrappolata funge da metafora non solo della condizione portoricana ma anche di quella umana, l'allungamento della lingua di Sala è l'agnizione definitiva, il rispecchiamento kitsch e digitale del dovere e della libertà di parola. Fuori dal tunnel se ne torna nella beneamata patria con l'intento di smascherare il demone capitalista.
'La fine di una storia significa l'inizio di un'altra' e, perlomeno si spera, anche di un altro film.