Drammatico, Recensione, Sportivo

ROCKY BALBOA

TRAMA

Rocky gestisce un ristorante italiano (con cuochi messicani), va tutti i giorni sulla tomba di Adriana e il figlio Robert, quando può, lo evita. Decide allora di tornare sul ring…

RECENSIONI

Di fronte a Rocky Balboa è davvero difficile ipotizzare, barthesianamente, la morte dell’autore e appropriarsi del film “a prescindere”. E non è solo una banale questione di “Rocky da vecchio è Sly da vecchio”: Stallone segnato dall’età, sull’orlo del dimenticatoio, cerca il “riscatto” (leggi: ho ancora qualcosa da dimostrare) tornando a interpretare il personaggio che l’ha lanciato e mostrandolo segnato dall’età, sull’orlo del dimenticatoio, in cerca di “riscatto” (leggi: ho ancora qualcosa da dimostrare). Questo è ovvio. Quello che è forse un pizzico meno ovvio è che in questo rockymovie crepuscolare, che sprizza presunto understatement a ogni piè sospinto, il suo regista-interprete-sceneggiatoRe non riesce in realtà a liberarsi del culto della propria personalità e si ripresenta come oltreuomo maestro di vita, dispensatore di verità, genuinamente (anagramma di ingenuamente) eroico. Rocky/Sly non dice, cioè, come sarebbe lecito attendersi da un 60enne e come il film sembra maliziosamente suggerire: - sto invecchiando, posso guardare a me stesso e al mio mito col realismo, il distacco e la saggezza dell’età – bensì, più o meno – sto invecchiando ma faccio ancora il culo a tutti -. Rocky/Sly è buono, gentile, generoso, forte, coraggioso, saggio. Rocky/Sly è perfetto. E Rocky Balboa, il film, non è affatto lo sbandierato ritorno alla malinconia loser del primo Rocky di Avildsen ma la riproposizione del tipico Rockysmo dei capitoli II, III e IV appena stemperato dai toni (più credibilmente) sommessi del V. Ne risulta un involontario ma interessante slittamento di senso: non si è portati a simpatizzare empaticamente col vecchio eroe che si lecca le ferite ma a compiangere un mito scaduto che si aggrappa tragicamente alle sue vestigia. Da un punto di vista più “oggettivo” (scusate, mi scappa da ridere), Stallone si riconferma sceneggiatore elementare e regista inerte: il copione naviga a vista nello schematismo più scontato e lascia cadere nel nulla (s)nodi che sembravano inizialmente importanti (il rapporto tra Rocky e Steps) per scioglierne altri in maniera affatto approssimativa (il figlio ritrovato); la regia, come si dice, anonima la fa parzialmente franca grazie a un contesto che vede nell’apparente anti-enfasi il suo cavallo di battaglia e che dunque la rende paradossalmente “adeguata”, anche se è difficile non notare che i pochi tentativi personalizzanti sono quello che sono (qualche ralenti, un po’ di bianco e nero spruzzato di colore) e che la sequenza clou (il match) manca della dovuta fisicità risultando, come da tradizione, del tutto posticcia.