TRAMA
C’è del marcio nella polizia di New York.
RECENSIONI
L’esplorazione cinematografica di un ambiente sovrarappresentato come quello della polizia americana col suo bagaglio di tradizioni e degenerazioni più o meno grandi può avvenire sostanzialmente attraverso due macromodalità: sposando il punto di vista individuale con il conseguente sviluppo di un’elaborazione morale interiore (Serpico) o abbracciando una visione d’insieme che traccia una sorta di affresco ricco di contrasti e chiaroscuri etici (L.A. Confidential). Ebbene, Pride and Glory appartiene sostanzialmente alla seconda tipologia, assorbendo però elementi della prima: se il disegno narrativo osserva un andamento corale (quattro i personaggi principali: Ray Tierney, Jimmy Egan, Francis Tierney Jr. e Francis Tierney Sr., ineccepibilmente interpretati da Edward Norton, Colin Farrell, Noah Emmerich e Jon Voight), il fulcro drammatico del film consiste nella scoperta della corruzione di buona parte del 31° distretto del NYPD e nella messa in crisi della polizia come istituzione da difendere ad ogni costo, anche se questo coincide con l’omertà. Si tratta insomma di riflettere sullo spirito di corpo ancora praticabile al tempo dei padri (Tierney Sr., a cui Voight regala momenti di granitica commozione), ma che nell’età del crack e del meticciato (emblematico il personaggio di Sandy, l’agente che fa la soffiata) è irrimediabilmente e intollerabilmente slittato in connivenza. Composizione moderna e sviluppo classico, insomma, donde l’impressione di oggetto filmico fuori dal tempo, difficilmente classificabile o riconducibile al filone del poliziesco contemporaneo. Già questo basterebbe a fare di Pride and Glory un film orgogliosamente isolato e coraggiosamente antimodaiolo, ma a renderlo davvero donchisciottesco sono il piglio antispettacolare (a partire dalla durata smisurata), la rappresentazione immersiva (sguardo integralmente incassato negli eventi) e la narrazione sgretolata (il racconto procede per segmenti in rigorosa focalizzazione interna). Ne scaturisce un poliziesco paludoso come sabbie mobili (la verità è terreno fangoso e friabile), faticoso come un corpo a corpo (contano più gli scontri fisici delle sparatorie) e sofferto come un’ammissione di responsabilità (la condiscendenza, realizza Tierney Jr., è una forma autoindulgente di colpa). Messa in scena poderosamente contratta e interiorizzata: direzione degli attori prosciugata da ogni patetismo, inquadrature intralciate da reti, schermi e sagome ostruenti, fotografia (Declan Quinn) metallizzata con luminosità sorde e commento musicale (Mark Isham) di trattenuta amarezza. Totalmente assente, vivaddio!, qualsivoglia connotazione politica che vada al di là di un implicito (e scorrettissimo) purismo WASP e un finale che, da girevole distanza, si astiene da facili e rassicuranti soluzioni consolatorie. Insieme al superbo We Own the Night di James Gray, il più bel poliziesco americano del biennio 2007/2008.