TRAMA
La privatizzazione delle Ferrovie britanniche muta bruscamente, non certo in meglio, le condizioni di lavoro (e di vita) di un gruppo di operai.
RECENSIONI
Come descrivere, nel modo più efficace possibile, il repentino frantumarsi di decenni di conquiste sindacali, causato dalla diffusione delle nuove politiche economiche basate sulla cosiddetta flessibilità? Ken Loach, che si occupa di temi simili non dalla settimana scorsa, rinuncia alla tentazione (del resto comprensibilissima) dell’affresco e punta tutto su concisione ed ironia. E vince. Tracce di un’ironia lieve ma desolata sono riscontrabili nel titolo originale dell’opera: i “navigatori”, cioè gli addetti alla manutenzione della rete ferroviaria, il cui compito è garantire la sicurezza ed il comfort dei passeggeri, procedono senza bussola, incerti sul da farsi, perché sono mutate all’improvviso (meglio, sono state completamente cancellate) le regole che rendevano ragionevolmente sicuro il mare dei trasporti e dei rapporti di lavoro. (A proposito, un grazie a chi ha permesso che la versione italiana del film fosse contrassegnata da un titolo da fiction: senza questi piccoli “regali”, forse apprezzeremmo di meno la visione dei film in lingua originale.) Il film segue, con passo piano, non fiacco, piccole storie di uomini assolutamente ordinari, le ultime ruote del carro lavorativo, che un giorno, all’improvviso, devono fare i conti con quel neoliberismo selvaggio che ultimamente è tanto “in” un po’ in tutti i continenti. Lo sguardo del regista è complice, ma estremamente lucido: annota scrupolosamente le reazioni, dapprima ilari e man mano sempre più tetre, suscitate dalle innovazioni imposte dallo smembramento e dalla privatizzazione dell’azienda, ed i cambiamenti subiti dalla routine, tanto professionale quanto personale, dei protagonisti. Simili temi, ad ovvio rischio retorica, sono trattati in modo concreto, esclusivamente in relazione al microcosmo nel quale si muovono i personaggi: le dispute sindacali ai tempi della non – negoziabilità sono riassunte da una querelle sulla collocazione di un orologio, i bruschi tagli ai salari si fanno sentire nelle (ulteriori) riduzioni del tempo che i genitori possono dedicare ai figli, una banale discussione può causare la rovina di un assiduo cliente delle agenzie di lavoro interinale.
La caratterizzazione comica che accompagna le prime apparizioni del “nuovo ordine” lavorativo (una vera perla il filmato didattico mostrato ai dipendenti) non si attenua, ma assume una tinta sempre più sinistra (l’atteggiamento glaciale dei nuovi dirigenti) fino a sfociare, con perfetta coerenza e senza soluzione di continuità, nella tragedia finale, implacabile compimento delle premesse esposte nell’arco del film. Per i pesci piccoli non c’è salvezza, come teorizza, disilluso, uno dei personaggi. “Scacco matto: qualunque mossa fai, sei morto”. La sceneggiatura di Rob Dawber si impantana lievemente negli stereotipi quando si occupa della parte “privata” della storia (i soliti amori impacciati, le abusate crisi coniugali), ma ha una limpidezza ed una forza rarissime nello slavato orizzonte contemporaneo. Quanto a Loach, l’aria di casa decisamente gli giova: dopo il passo falso di “Bread & Roses”, il regista ritrova sobrietà, solidità, coraggio artistico e morale. Cast di eccelsi carneadi (o quasi).

Dopo il poco riuscito e schematico "Bread and roses", Ken Loach torna in Inghilterra e continua il suo importante cinema di denuncia affrontando, questa volta, il mondo delle Ferrovie Britanniche. Il progetto nasce grazie alla collaborazione di un operaio della British Rail, Rob Dawber, che scrive una lettera al regista per raccontargli la sua esperienza di diciassette anni di lavoro e di come ha perso il posto a causa della privatizzazione. Ken Loach si interessa subito al caso e commissiona una sceneggiatura che Rob Dawber scrive durante una convalescenza. Nel frattempo, però, gli viene diagnosticato un tumore a causa del prolungato contatto con l'amianto sul posto di lavoro. Il film viene terminato giusto in tempo per consentire a Dawber di vederlo, prima di morire a 44 anni. Sembra la meta-trama di un lungometraggio, in realtà è il contesto che ha portato alla nascita del bel film di Ken Loach sui problemi insiti nella globalizzazione. Come al solito il regista ha le idee chiare, ma in modo secco e non didascalico riesce a trasmettere i possibili problemi delle privatizzazioni, facendo vivere le conseguenze di un discorso teorico direttamente sulla pelle dei suoi protagonisti. Il taglio è da commedia sociale, si ride molto, si entra nelle vite di un gruppo di operai e si diventa complici dei loro problemi, anche personali. Poi la tragedia accade, ma senza tragicità. Proprio per questo risulta ancora più incisiva e può essere interpretato come un invito a non accettare le regole senza averle prima ponderate e capite, un invito a informarsi, a rendersi conto che il mondo, e non solo del lavoro, sta mutando. Il rischio è infatti quello di trovarsi a vivere le estreme conseguenze di cambiamenti avvallati con la propria indifferenza.
