Commedia, Recensione

NON MI SCARICARE

Titolo OriginaleForgetting Sarah Marshall
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2008
Genere
Durata112'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Abbandonato dalla starlette televisiva per una rockstar, un comune (?) compositore di musiche per serie TV tenta di dimenticare, scappando alle Hawaii. La fuga si rivelerà tutt’altro che terapeutica, almeno in principio: Sarah e nuovo compagno, infatti, alloggiano nello stesso hotel di Peter.

RECENSIONI

Primo titolo del sostanzioso listino stagionale consegnato agli schermi da colui che un’effimera classifica definisce “L’uomo più furbo e intelligente di Hollywood” (altri tre i film in uscita nei prossimi mesi: Pineapple express/ Strafumati, Drillbit Taylor e Step Brothers/ Fratellastri a 40 anni), Forgetting Sarah Marshall manifesta e porta a maturazione virtù, vizi e vezzi dell’Apatow’s touch. L’ennesimo stereotipo nerd denudato da maschere sociali e restituito ad una dignitosa complessità seduce e rincuora il pubblico, paga al botteghino, soddisfa la critica. In Non mi scaricare, come nei precedenti della crew di Apatow, la scrittura miscela la commedia con l’intimo dramma del loser, conferendo, tramite pochi e calibrati tocchi, inatteso spessore ai personaggi principali, la cui profondità si evidenzia per contrasto sullo sfondo di monodimensionali macchiette, figure secondarie a cui affidare l’essenziale ruolo di coro demenziale: ne risulta un equilibrio che al contempo intensifica, per spinte paradossali, il cotè sentimentale insieme a quello comico, di per sé trattenuto rispetto a prodotti similari[1]. Spesso raggiunta semplicemente attraverso l’accostamento di pochi tratti contraddittori, la verosimiglianza emotiva si adagia quindi, traendone per opposizione beneficio, su una gamma di situazioni comiche che lascia poco spazio alla gratuità dei gag, nonostante si sviluppi su una vasta gamma che dalla parodia[2] giunge ad una tenera sensibilità tragicomica, declinando frequentemente stereotipi sboccati e abusati, sebbene la scurrilità non ceda mai allo sciocco sbraco. Adulto e ponderato l’ancoraggio al genere di riferimento, modulato- in una rispettosa adesione a canoni e sviluppi che si fa tutt’altro che ossequio- attraverso derive provocatorie (il nudo frontale maschile è affrontato con la leggerezza adeguata a sfatare un tabù così ottusamente stantio[3]), scene madri d’ordinanza demistificate nel goffo (il primo bacio tra Peter e Rachel), allentate nella tensione da espedienti sottilmente cerchiobottisti (sul finale un iride digitale a forma di cuore pone un macroscopico accento sull’happy end, paradossalmente depotenziandolo, con furba ironia), quando non affrontate frettolosamente, a pathos pressoché azzerato, come ad annullare la fiducia in snodi necessari allo sviluppo, meccanismi ordinari reiterati ormai allo sfinimento (si pensi al momento in cui Peter viene a conoscenza della presenza di Sarah nel suo stesso hotel). Se in Superbad , per rifarmi all’illuminante recensione di Pelleschi, era l’horny teen movies il genere in cui far “implodere” automatismi generici e ovvie declinazioni in un’aura che rispecchiasse il superamento dello stereotipo, all’insegna di una più ricercata complessità introspettiva, qui il trattamento è riservato a una commedia più matura, che non rinuncia però all’ammicco demenziale. Un puro racconto di formazione, in ultima istanza, come tutti i prodotti targati Apatow: i personaggi, all’inizio vittime di se stessi e degli altri, si emancipano dallo stereotipo narrativo mentre si liberano dalle maschere sociali (auto)imposte, gradualmente, tramite piccoli spostamenti, con educato spirito riformista, in una dialettica che assorbe continuamente e su ogni livello la provocazione nella tradizionale riconciliazione, ma testimonia, comunque, un’evoluzione. Una sintesi (raffinata o ipocrita, fate voi) di innovazione e conservatorismo, ripetizione e novità: requisiti richiesti fisiologicamente dal pubblico, puntualmente accontentato, ché la moneta dell’impensierire senza restaurare e quella dell’istinto senza mediazione mai hanno pagato, ed oggi sono a maggior ragione- sintomaticamente- fuori tempo massimo. Scevro dalla prolissità che caratterizzava i precedenti exploit della prolifica ditta (factory? Apatow produce, Segel, già visto in Molto incinta è protagonista e sceneggiatore, ritornano volti noti come Jonah Hill, Paul Rudd e Bill Hader, altri qui presenti ritorneranno nel prossimo futuro) Non mi scaricare presenta tuttavia un ricorrente marchio deteriore, una certa sciattezza estetica in attrito con l’innegabile compattezza della scrittura, rivelata da una regia piatta (quando non ingenua) e, soprattutto, da un montaggio sfacciatamente approssimativo, sebbene meno trasandato di precedenti (su tutti: 40 anni vergine). Esecrabile aggettivo di chiusura: agrodolce.

[1] La maturità di scrittura nel rendere i personaggi tridimensionali si manifesta in itinere nella sua spartana efficacia nella descrizione della coppia Sarah-Aldous, emancipata dalla bieca caricatura solo a film inoltrato.
[2] Segel è volto conosciuto soprattutto per i suoi exploit televisivi. “Crime Scene”, la serie di cui è protagonista Sarah (insieme a William Baldwin) è evidentemente la parodia di “CSI”, del cui cast Segel ha fatto parte. La Bell, inoltre, è stata protagonista di “Veronica Mars”, atipica e inquietante serie investigativa di qualche tempo fa.
[3] In numerose interviste Segel ne sottolinea la necessità: “In quel momento il personaggio è totalmente vulnerabile, nudo, anche metaforicamente”.