TRAMA
Nel 1805 il capitano Jack Aubry RN (Lucky Jack), al comando della HMS Surprise, al largo delle coste brasiliane, riceve ordine dall’ammiragliato di catturare, bruciare o distruggere la nave corsara francese Acheron, capace di alterare gli equilibri delle guerre europee. Una caccia fatta d’astuzie e scoperte.
RECENSIONI
La Nave de Tempi
Bounty, di pirati e corsari sono relegate in un canone remoto, sono stati tentati rifacimenti (il Bounty), modernizzazioni, i risultati, come sempre, rivelatisi alterni e spesso lontanissimi dal successo commerciale. "Pirati" di Polansky, "Corsari" di R. Harlin fino alle bischerate dei pirati della "maledizione della prima luna" di Verbinsky. Weir dopo l'enorme e ancora misterioso successo di "Truman Show" s'imbarca (mi si perdoni) in un'impresa che sembra ancor più bislacca, vero è che il film storico sempre godere di nuova fortuna ad Hollywood dopo "il Gladiatore" ed una serie innumerevole d'altri progetti, ma trattare di guerre napoleoniche e battaglie navali sembra proprio un azzardo anche se Universal e Miramax ci credono. Il ciclo di venti romanzi di Patrick O'Brian, la Aurby/Maturin series, che hanno come protagonisti le avventure del giovane ed ardito comandante Aubry, le sue navi ed il chirurgo di bordo, amico ed appassionato di scienze naturali Stephen Maturin, ha un enorme seguito di appassionati lettori, come d'altronde il ciclo di CS Forester dedicati ad Hornblower, il cui protagonista però ha più dell'idealista che dell'uomo di mare.
"Master and Commander - The Far Side of the World" è, fin dal titolo, l'unione, la fusione del primo volume e del decimo, pur travisandone in parte i contenuti ed i tempi (il primo si svolge nel 1805, il secondo nel 1812). Per complessità di visione e, non ultimo, per abilità di adattamento, revisione della fonte scritta, l'unico paragone adeguato è con La trilogia del "Signore degli Anelli" ("La Compagnia dell'anello", "le due Torri", "Il ritorno del Re" di Peter Jackson: Weir costruisce ed impugna il film armonizzando perfettamente le richieste della grande produzione, il rispetto dell'opera di O'Brian, la sua personalissima visione del mondo. Un rapido volo radente i flutti avvicina l'occhio dello spettatore allo scafo della Surprise - un volo libero a ritroso chiuderà circolarmente -, isolata nell'oceano nei pressi d'un banco di nebbia in cui per un istante s'intravede un possibile nemico, presto si scatena la battaglia, il fuoco delle batterie nemiche fa volare schegge e uomini all'impazzata, la sua superiorità tecnica è subito evidente (24 cannoni contro 44, scafo molto più robusto) e la fuga, spossante per la rottura del timone, è l'unica possibilità di salvezza. E' nell'azione improvvisa che i personaggi vengono mostrati per la prima volta, il cap. Aubry/Russel Crowe, svegliato all'improvviso, domina il ponte ma, al momento, non gli avvenimenti. Ha servito sotto Horatio Nelson, ora è il solo responsabile di 198 anime, noto per la sua fortuna quanto per l'impareggiabile conoscenza del mare e della tattica. Maturin, il medico, sotto coperta ha da svolgere una bella dose di lavoro. Due differenti tipi fisici, Aubry prestante segnato dalle ferite, il legno della nave si dice essere impregnato del suo sangue, il medico esile e quasi timido; differenti per provenienza (il medico è irlandese, il doppiaggio non permette di cogliere le molteplici sfumature linguistiche della ciurma e, per fortuna, nemmeno ci si prova); attitudini e formazione. In comune hanno la passione per i duetti di Mozart (tocchi irrealistici di O'Brian, coerentemente mantenuti) ed intrattengono un rapporto di parziale confidenza.
Una piccola Inghilterra galleggiante rinchiude duecento uomini, il cui isolamento dal mondo è radicale quanto null'altro, solo lo sguardo a protendersi oltre la tolda, il sartiame e gli alberi le loro strade e prigioni (spesso inquadrati da teleobiettivi che ingabbiano i personaggi nel cordame). Una realtà così rarefatta necessita di sensi umani raffinati, soprattutto nelle sfere del comando, ed è la vista la primaria necessità, che si tratti del chirurgo entomologo o del capitano attraverso il cannocchiale un mondo che ha regole ferree ed in cui l'acume individuale è il discrimine unico tra la vittoria e la sconfitta. Ma il dovere - ed il suo inconoscibile limite - non occludono completamente i moti della personalità, traspaiono sul volto di Crowe (Marlon Brando è un paragone tutt'altro che azzardato),i pensieri e gli imbarazzi, le gentilezze come le grossolanità dell'uomo di mare, Maturin/Paul Bettany, dal canto suo, mostra il disgusto per la guerra, manie dell'uomo di scienza, ma anche la totale dedizione al comandante. Non si tratta di un semplice dualismo né di nette contrapposizioni ma dell'accostarsi di atteggiamenti, come quando al medico ferito, portato alle Galapagos, viene concesso d'ispezionare il territorio alla ricerca di stranezze della natura ma, non appena intravede il nemico, la delusione è solo un lampo prima di agire. I fatti dell'intreccio puri e semplici sono numerosissimi - i lettori (presenti e futuri) dei romanzi avranno la possibilità di completare le allusioni di Weir (i nomi dei cannoni...) - molti sono abbandonati alla deriva visiva, presenze di profondità del reale, cicatrici, abiti non in perfetto stato, cabine microscopiche, lenti incrinate. Proprio in questa direzione si possono riscontrare la marche personali di Weir fatte di sovrabbondanza percettiva (Picnic ad Hanging Rock), distorsione della percezione (Fearless, Truman Show) e volizione prepotente (fondamentale antecedente è Mosquito Coast), si mostrano in "Master and Commander - Sfida ai Confini del Mondo" le potenzialità dell'incontro tra lo sguardo (umano o macchinico che sia) e la realtà, la superficie del mondo. Non si può dimenticare la prima panoramica "lunare" alle Galapagos (casuale che sia identica ad una nell'Avventura?) come pure gli incontri tra i capitani nemici, mediati sempre da cannocchiali, legami da fantasmi (tanto più che l'incontro fisico non viene percepito). Immagini a forte componente materica, sangue, vento, rocce, visi, convivono da un lato con la prepotente struttura narrativa ma pure con immagini il cui scopo è il vedere oltre la distorsione onnipresente e comprendere l'istante.

Il Capitano Kirk
"Ai confini del mondo" (il romanzo di Patrick O’Brian da cui è tratto) Weir lascia il timone a Russell-Il Gladiatore-Crowe, comandante ingegnoso e padrone autoritario (epiteti poco approfonditi): invece che recuperare la qualità ipnotica dei suoi racconti intrisi di naturalismo e poesia finisce per assomigliare più al Ridley Scott de L’Albatross, terragno, epico e strutturato, con il complemento di un ammirevole/terribile realismo (la cura nella ricostruzione ambientale, la crudezza della chirurgia in guerra). Non coglie l’occasione della superstizione (la maledizione di Jona) e dell’ossessione di Moby Dick (solo per un attimo il comandante pare fuori di sé) per mettere in scena situazioni conflittuali; non si muove sotto la superficie alla ricerca di una indefinita Ultima Onda: la nave-fantasma è Duel solo in quanto senza volto e il padrone/Crowe non accetta la deformazione della realtà o lo spaesamento. Il conflitto natura/cultura di Mosquito Coast diventa conflitto arte militare/scienza, dove quest’ultima viene sempre mortificata o, al limite, sfruttata (il travestimento dell’insetto-stecco) per continuare la caccia. L’armonia sulla/con la nave, à la Star Trek (Gene Roddenberry, da Patrick O’Brian, ha pescato a piene mani), è necessaria per la legge di sopravvivenza e la formazione delle giovani guardie marine che ci sostituiranno. Incantato da ma infine sordo al richiamo dell’universo naturale delle Galapagos, Weir celebra la determinazione (per patria o orgoglio che sia) dell’uomo epico/Crowe nel competere con un avversario affine e incornicia il racconto di un duetto d’archi (l’amicizia e le dissonanze fra il capitano e il dottore che si dilettano con la musica) con due spettacolari battaglie navali, fra bordate micidiali e caotici arrembaggi. Il flirt fra guerra e scienza è un tema quasi incidentale, confuso per esigenze marziali (meno parole, più azione), con il valore dell’amicizia.

Master and Commander somiglia molto al suo regista: è un film sospeso, confinato nel limbo tra le ambizioni e la grana grossa, indeciso tra il puntare dritto all’ovvio e il percorrere rotte oblique. Campi lunghissimi e movimenti di skycam mozzafiato si alternano così a digressioni più umane e intimiste, mentre episodi di canonico eroismo hollywoodiano convivono con siparietti allegorici che spezzano, volutamente, un ritmo altrimenti sostenuto. Difficile decidere se il dicotomico cocktail funzioni o meno, di sicuro c’è che è sbilanciato: più riusciti, infatti, sono i momenti in cui Weir azzecca il respiro dell’Epica e gestisce con coreografica maestria le belle sequenze di battaglia; decisamente irrisolte, invece, sembrano le parentesi più profonde e “psicologiche” in cui il regista aspira ad una tridimensionalità che non si spinge oltre l’isometria. Emblematiche e sintomatiche, in tal senso, le digressioni di stampo (pseudo)malickiano: si punta decisi al Naturalismo ma ci si ferma all’entomologia.
