Commedia, Recensione

MAI COSÌ VICINI

Titolo OriginaleAnd So It Goes
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2014
Genere
Durata94'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Oren Little è un agente immobiliare in guerra con il genere umano. A fargli cambiare idea ci penseranno una nipotina che non sapeva di avere e una vicina di casa paziente e premurosa.

RECENSIONI

Rob Reiner è regista dall’approccio gentile. Indipendentemente dal genere intrapreso - e sono tanti, la commedia il più frequentato (Harry ti presento Sally in primis), ma anche fantasy (La storia fantastica), horror (Misery non deve morire), legal-thriller (Codice d’onore) - ama i personaggi che mette in scena e se li strattona è solo perché è richiesto dalla sceneggiatura. Negli ultimi anni ha intrapreso la strada della commedia senile, accentuando la malinconia, sempre presente nel suo punto di vista, ma provando a sdrammatizzare l’amarezza delle situazioni con una risata. Non è mai troppo tardi ha aperto la strada, mentre Mai così vicini prova a percorrerla con leggerezza. In mezzo la parentesi con l’inedito in Italia Flipped che nel narrare la scoperta del primo amore in una coppia di fanciulli torna invece all’infanzia (l’indimenticato Stand by me docet).

Il soggetto dell’ultima fatica non brilla certo per originalità, siamo dalle parti di Qualcosa è cambiato (non a caso lo sceneggiatore Mark Andrus è lo stesso), con un protagonista maschile burbero e schivo che torna ad aprirsi alla vita grazie a un evento straordinario (l’arrivo di una nipotina che non sapeva di avere) in grado di smussare gradualmente la sua misantropia. Non si scampa a tutti i possibili luoghi comuni del genere: l’iniziale rigidità, l’ostilità nei confronti del prossimo, il rifiuto per il nuovo che digrada in riluttanza per poi evolvere in progressiva accettazione, la riscoperta di sentimenti e sentimentalismo, la spolverata di quello che si rivela un cuore d’oro, fino a un finale in cui ogni tassello trova equa distribuzione per felicitare i personaggi e mandare lo spettatore a casa contento. O perlomeno sereno. Comunque con l’illusione che invecchiare non sia affatto terribile ma un approdo naturale in grado di riservare ancora piacevoli sorprese.

Cinema quindi rassicurante e vagamente mistificatorio (la facilità con cui la cantante interpretata dalla Keaton trova lavoro ottimamente retribuito ne è un esempio) destinato prevalentemente alla terza età ma alla ricerca della trasversalità attraverso i ruoli di contorno (in primis la giovanissima nipote, ma anche i diversi nuclei familiari che abitano a mo’ di sitcom nel condominio del protagonista). E cinema dove il lato oscuro viene palesato (non si tace di malattie, dolore, solitudine e dissidi familiari) ma volge in positivo. Se la sceneggiatura non osa alcunché, la regia di Reiner si mette al servizio dei due protagonisti, Michael Douglas e Diane Keaton, entrambi a loro agio e insopportabilmente adorabili nel campionario di mosse e mossette con cui caratterizzano personaggi ricalcati sull’icona che rappresentano. Lui cinico e ruvido, più che altro in apparenza, lei creativa, cerebrale e terribilmente vestita.

Se si chiude un occhio, anche due, sull’omologazione in cui l’insieme sprofonda (da soli non si può stare, i soldi non fanno la felicità ma ci vanno molto vicino) e sulla facilità con cui i conflitti si risolvono, l’intrattenimento è piacevole e strappa anche qualche risata. Michael Douglas che si improvvisa agente della Keaton e la rassicura dicendo “Ho venduto case più vecchie di te, e in condizioni peggiori!” è davvero irresistibile. Se però si cerca qualche riflessione un po’ più profonda, o un’impronta autoriale più marcata, si è sbagliato film. Rob Reiner, come spesso accade nelle sue regie, si ritaglia una piccola parte. Qui è l’improbabile e docile pianista che accompagna Diane Keaton al canto.