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TRAMA
Bob Chiaromonte, affermato attore di pubblicità, viene insistentemente disturbato dagli animali presenti sul set. Tale ostilità si fa sempre più invasiva e aggressiva, finchè il suo lavoro e il suo sistema nervoso non vanno in frantumi.
RECENSIONI
Opera squinternata e a lungo sottostimata, riemersa dopo un oblio pluridecennale grazie alla retrospettiva veneziana La situazione comica (2010), Lo scatenato aggiorna la commedia del boom economico ai tempi del suo tardo controcanto grottesco, a fine anni '60, quando la dolce vita d'inizio decennio diventava sempre più agra (cfr. Lizzani/Bianciardi), e i detriti del consumismo compulsivo inauguravano un altro catafalco dell'immaginario nazionale. Già l'aspetto visivo può dirsi anomalo e fuori-scala: la fotografia iper-satura e i décor di Pier Luigi Pizzi rimandano con evidenza a tanta pop art, per lo sfacciato ventaglio cromatico e le ingombranti installazioni pubblicitarie (affini ai large-scale project di Claes Oldenburg), eppure il composito Carosello da incubo in cui sembra invischiato Gassman - unico mattatore in scena non mostra la società delle merci con accondiscendenza warholiana, al contrario, l'aggredisce e la deride come nevrosi collettiva. Lo sguardo di Indovina, già autore dell'altrettanto amaro Ménage all'italiana, sposa il punto di vista di Bob Chiaromonte, pubblicitario divorato da manie di persecuzione e sconvolto dall'improvvisa irruzione di una natura ostile e incontrollabile (a cui segue ovvia contrapposizione tra le incursioni animali, libere e destabilizzanti, e l'artificialità asettica e asfittica degli interni, specchio delle (f)rigide abitudini razionaliste di Chiaromonte), senza comunque nascondere il ridicolo paradosso di un uomo sfigurato(si) nel tentativo di tutelare la propria immagine, ché proprio la sua ossessione per il prestigio sociale e professionale lo porta al punto di rovinarsi da solo, martoriandosi fisicamente e psicologicamente in una snervante performance auto-distruttiva (in tempi di riscatti d'immaginario, alla vigilia del '68, suonava come una pubblica messa a morte dell'icona-Gassman, interprete, all'indomani del boom, di tanti personaggi profittatori e arrivisti, inebriati dal guadagno facile e dal falso progresso). Facile comprendere il flop al botteghino e l'insuccesso critico: visto all'epoca come la freddura radical chic di un Antonioni mancato (ragioni anche curriculari: Indovina fu suo aiuto-regista in L'avventura, La notte e L'eclisse), Lo scatenato è un'escalation allucinogena e slapstick sul suicidio della civiltà dei consumi, un informe ed esagitato torture show pressoché privo di intreccio e comprimari (persino l'aureo cammeo di Bene - nel ruolo di un prete, naturalmente doppiato - consiste in pochi secondi di mimica keatoniana) ma di preziosa e irraggiunta eccentricità (il solo paragone possibile è con Break Up di Ferreri, per l'ossessione pubblicitaria, i cromatismi pop e il delirio anti-borghese), dove la patologica dipendenza dall'immagine e la superficialità che ne consegue non riguardano solo il narciso Chiaromonte, ma anche l'élite politica e il suo elettorato, come dimostrato dalla sconfitta (non solo) mediatica del ministro (la fragilità isterica e paranoica di Bob è la stessa dello Stato reticente che lo dovrebbe rappresentare, come da lui esemplificato - Basta una mosca a far cadere il governo). Anche considerando la generale esilità narrativa (dovuta all'episodico script firmato con Tonino Guerra e Luigi Malerba) e l'evidente schematismo morale (ostentato nel finale), non era da tutti, in Italia, saper raccontare l'egemonia di pubblicità e mass media in forma di farsa psichedelica, peraltro aprendosi a fughe surreali quantomeno insolite, come la lunga sequenza onirica, e frustrando con un certo sadismo le aspettative da commedia erotica, abbozzando promesse osé per negarle puntualmente in altrettanti coiti interrupti (va da sé che l'impotenza diagnosticata dal film è anche sessuale, come provato dallo spogliarello al telescopio). Purtroppo non ci è dato sapere cos'altro avrebbe realizzato il suo giovane regista: Franco Indovina morì cinque anni dopo, appena quarantenne, nel disastro aereo di Punta Raisi.