TRAMA
Cenzo, vent’anni, vive a Bussi, in Abruzzo, ma vuole studiare e conoscere il mondo. Il padre Vince viene licenziato dopo trent’anni di lavoro in fabbrica ed è in crisi con la moglie. Genny fa la cameriera in un ristorante. Si ritroveranno tutti a Pescara, ognuno in cerca di una sua libertà…
RECENSIONI
Esplicitamente “scritto”. Questo mi sembra, in estrema sintesi, il maggior difetto del quarto lungometraggio di Tavarelli che si presenta come un film a (più) tesi esposte per accumulo, molto poco amalgamate le une con le altre e troppo chiare per non puzzare di premeditazione; c’è il problema del lavoro, la crisi famigliare, il tormentato rapporto padre-figlio, la voglia di fuga dalla provincia, con intermezzi solo apparentemente più intimi (gli attacchi di panico di Genny) che sono invece funzionali all’operazione, non meno artificiosi tentativi di generalizzare e sfaccettare il concetto di libertà, ovvio filo rosso di Liberi. Ne risulta un film “intimista” ben poco intimo, privo di una personalità definita (molti gli echi di Muccino e Virzì), maldestro nel far affiorare le proprie ingenue strategie narrative e mal servito da(i molti) dialoghi ai quali manca la fondamentale dote della naturalezza. Regia timida ma adeguata, al completo servizio della (prepotente) sceneggiatura, attori nel complesso efficaci, con il bravo Burruano forse troppo impegnato a “recitare” (ma non è tutta colpa sua), il protagonista Elio Germano sufficientemente credibile e una Nicole Grimaudo che, in virtù di una maggiore freschezza e spontaneità, risulta la migliore del lotto.

Il dramma di chi perde il lavoro dopo trent'anni di fabbrica (il padre) e l'iniziazione alla vita di un giovane ragazzo, nato in un piccolo paese abruzzese ma con la voglia di viaggiare e scoprire un mondo oltre le quattro mura in cui e' rinchiuso (il figlio). C'e' tanta carne al fuoco nella commedia sociale di Gianluca Maria Tavarelli: la precarieta' del lavoro, la vita di provincia, i conflittuali rapporti generazionali, i dubbi esistenziali, le scelte di vita dopo la scuola, i turbamenti affettivi. Forse il difetto principale del film e' di inserirsi in un filone gia' ampiamente spremuto (da "Ovosodo" a "Il posto dell'anima", passando per una voce-off di mucciniana memoria). C'e infatti un'aria di "deja-vu" nel racconto imbastito dal regista, nonostante la sceneggiatura (vincitrice del prestigioso Premio Solinas) calibri con equilibrio i momenti forti con le disgressioni leggere, alternando efficacemente sorrisi e malinconia. Belli anche i dialoghi, peccato per l'evidente letterarieta' che li rende significativi ma poco credibili. Non sempre verosimile anche la costruzione delle scene che, soprattutto nella prima parte, non nasconde l'artifizio. Gli attori sono tutti a loro agio: bravo il protagonista Elio Germano, spontanea e fresca Nicole Grimaudo (forse troppo bella per il ruolo), forte la presenza di Luigi Maria Burruano, sempre meno caratterista e piu' protagonista.
La prima considerazione che il film stimola e' una certa discontinuita': momenti belli ed efficaci (i viaggi in autobus per sconfiggere gli attacchi di panico, l'atteso confronto tra genitore e figlio) e altri meno riusciti (i lavoratori in fabbrica, le difficolta' sul lavoro, solo accennate e poi abbandonate, gli amici sulla spiaggia, la prevedibilita' della storia d'amore). Il film scivola lieve, pone problematiche concrete e non appare consolatorio come piu' volte si teme, trovando un valido approdo nelle mezze tinte. Per diventare sincero ritratto generazionale gli manca pero' un piglio personale in grado di distinguerlo da altri fotogrammi con cui tende a confondersi.
