Commedia

L’APPARTAMENTO SPAGNOLO

Titolo OriginaleL'Auberge espagnole
NazioneFrancia, Spagna
Anno Produzione2002
Genere
Durata120'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Xavier, giovane studente parigino di economia, decide di aderire al progetto Erasmus di interscambio tra facoltà universitarie europee, trascorrendo così un anno a Barcellona, preparandosi per entrare nel mondo del lavoro. Al suo ritorno qualcosa è cambiato.

RECENSIONI

La visione di questo film lascia dietro di sé tanta tristezza, data dal fatto che a uno spettatore italiano debba essere inesorabilmente negata la meraviglia della “lingue del cinema”, del suono delle lingue del mondo, della parola degli attori, degli accenti, delle inflessioni che caratterizzano ogni regione, città, sobborgo della terra. Grazie alla pratica barbara e fascista del doppiaggio vengono consegnati alle sale italiane da quasi un secolo dei film stuprati, appiattiti dall’uso improprio della lingua italiana (solo per permettere di continuare a lavorare in pace a una delle tante lobby che infestano il territorio italiano). Film in cui un gruppo di doppiatori (che sono grosso modo sempre gli stessi) si arroga il diritto di sostituire il suono della voce di attori che su voce e dizione lavorano ogni giorno, oltre a modificare arbitrariamente intere parti di sceneggiatura per permettere la sincronizzazione delle frasi in italiano con il movimento delle labbra degli attori. Come dire, non è importante quello che l’attore dice, ma piuttosto è importante che la parola in italiano contenga grosso modo lo stesso numero di suoni palatali e labiali di quella originale.
In certi casi, e avrete capito che questo è uno di quelli, la soglia del ridicolo è abbondantemente superata. Klapisch ha cercato di fare forse il primo vero film sulla comunità europea e su un esperimento (il progetto Erasmus) di convivenza fra persone provenienti da diversi paesi all’interno della comunità. Un film sull’avvicinamento e il contrasto di differenti usi, costumi, abitudini, stili di vita. Le differenze linguistiche e il loro appianamento attraverso l’uso di altre lingue (l’inglese soprattutto, ma anche il francese o lo spagnolo) erano uno dei punti cardine del film, forse il pilastro dominante. C’era il legame tra Xavier e una ragazza belga, cementato dalla francofonia. C’erano due coinquilini di Xavier, una ragazza inglese e un ragazzo danese, che supponiamo comunicassero con lui attraverso un francese stentato e deformato dai rispettivi accenti (invece qui troviamo quell’irritante italiano con accento americano che aveva già devastato per esempio “Rapsodia in Agosto” di Kurosawa). C’era Xavier che arriva a Barcellona senza sapere una parola di spagnolo e grazie a un barista lo impara, e supponiamo che Klapisch abbia lavorato per far sparire a poco a poco il suo accento francese. In questo film, non potendo sostituire tutte quante le lingue con l’italiano (ma senz’altro l’ipotesi sarà stata presa in considerazione) si è scelto di abolire la lingua francese (che per informazione è quella parlata in più paesi all’interno della CEE, ma chissenefrega) e di sostituirla con l’italiano. Uno dei coinquilini di Xavier è italiano, quindi l’italiano sarebbe una prerogativa sua, ma chissenefrega. A un certa punto la ragazza inglese deve ripetere al telefono una frase in francese scritta sul muro accanto alla traduzione della stessa frase in danese, tedesco, italiano, inglese, spagnolo: punta il dito sulla frase in francese ma legge in italiano, tra l’altro vanificando di seguito il gioco di parole tra “fac” aller a la fac” in francese significa andare all’università) e il ben più celebre “fuck” inglese. Impossibile poi sorvolare sull’increscioso e inevitabile fatto che la differenza tra l’audio del film e quello del doppiaggio delle voci in italiano è sempre ben percettibile. Facile insomma dedurne che l’insieme di tutte queste tristi disfunzioni renda la visione del film un’esperienza cinematografica totalmente insulsa e per niente decorosa.
In queste condizioni non ci è possibile parlare del film e ci si deve quindi limitare a commentarne la versione italiana. Il consiglio è quindi quello di dedicare la vostra serata alla visione di qualche altro film, o in alternativa di emigrare in un paese civile per vedere questo.

Negli anni ottanta andavano per la maggiore le barzellette multietniche ("c'e' uno spagnolo, un inglese, un italiano e un americano ...") che terminavano invariabilmente con l'italiano che faceva la figura del pirla. 
Dimenticando i preconcetti geografici e, anzi, giocando con essi, Cedric Klapisch (regista dell'interessante "Ciascuno cerca il suo gatto") dirige un'ottima commedia sull'Europa unita. Il giovane protagonista, infatti, aderisce al progetto universitario "Erasmus", lascia la Francia per studiare un anno a Barcellona e finisce in appartamento con due ragazzi, un danese e un tedesco, e tre ragazze, un'inglese, una belga e una spagnola. 
Il film segue il suo percorso ben delineando tutti i dubbi della partenza e le scoperte, le delusioni, le scelte, conseguenti alla nuova vita dai ritmi latini. Finalmente un lungometraggio che parla diretto, affrontando l'oscuro mondo giovanile senza facili moraline basate sul successo e la competizione, ma approfondendo con semplicita' e ironia il punto di vista emotivo del protagonista davanti a un'esperienza nuova. Nessun bello e impossibile che deve lottare per farcela dimostrando al mondo quanto e' bravo, ma un gruppo di ragazzi, alcuni interessanti, altri meno, alla ricerca di una realizzazione personale. Uno degli aspetti piu' significativi del film e' che non tipizza i personaggi rendendoli simbolici, ma li personalizza rendendoli vivi. Nessuna conclusione universale da applicare a tutti gli universitari, quindi, ma una storia che racconta i destini incrociati di alcune persone e di loro soltanto. Scritto con verve, diretto con estro, semplicita' e grande senso del ritmo, recitato con spontaneita', il film non affronta tutte le possibili problematiche delle situazioni proposte (dei problemi economici, ad esempio, non si parla quasi mai), abbozza situazioni che poi non risolve (il figlio inaspettato del danese) e rischia piu' volte la superficialita' (la scelta finale del protagonista), ma si gusta come una boccata d'ossigeno nella mortifera rappresentazione giovanile contemporanea. Una sorta di "ehi, c'e' dell'altro!" che puo' dare la carica o avvilire a seconda del proprio vissuto e delle proprie ambizioni. In ogni caso un punto di vista importante con cui confrontarsi. Scellerato il doppiaggio italiano che, pur non tradendo lo spirito della versione originale (gli stranieri non parlano tutti in italiano), ne svilisce con grossolanita' le implicazioni. Viene infatti eliminata completamente la lingua francese e sostituita con l'italiano. Scelta che vanifica tutti gli sforzi del protagonista e la sua evoluzione linguistica e che costringe la ragazza inglese a parlare come Stanlio (neanche Heather Parisi lo fa piu'), quando invece cerca di relazionarsi in francese. Perche' non sottotitolarlo interamente?
L'unico italiano, comunque, fa la figura del pirla!