TRAMA
La periodica odissea migratoria dei pinguini “imperatori” attraverso gli insidiosi territori antartici, allo scopo di riprodursi sulla stabile penuria della banchisa.
RECENSIONI
Pur non potendo competere con gatti, topi e cani, i pinguini possono comunque vantare una filmografia di tutto rispetto. Dopo essere apparsi saltellanti e allegri in Mary Poppins, psicopatici e micidiali in Madagascar - senza contare il paradossale pinguino freddoloso de I tre caballeros - i pinguini ci vengono mostrati per la prima volta eroici in questo documentario sulla loro difficile missione di riprodursi. Proprio il documentario naturalistico, dopo aver riscosso una serie di successi abbastanza sorprendenti negli ultimi anni (da Microcosmos a Il popolo Migratore), con La marcia dei pinguini viene definitivamente sdoganato come prodotto per il grande pubblico ed assume i connotati di un vero e proprio film con un percorso narrativo che non ha nulla da invidiare alle altre pellicole. Ne La marcia dei pinguini non mancano infatti la suspense e la trepidazione, i momenti di forte tensione e quelli in cui il ritmo rallenta, le parentesi comiche, le inquadrature in cui l’occhio si perde liberamente nel paesaggio e quelle che inseguono freneticamente gli eventi chiave. Il tutto senza girare mai a vuoto (come accade invece in tante commedie o in tanti drammi) e senza portare mai lo spettatore alla noia. Tutte le scelte di montaggio sembrano felici. Basti pensare alla decisione di non nascondere gli eventi più drammatici, facendo però attenzione a mostrarli, per quanto possibile, con una sorta di delicatezza verso lo spettatore e di rispetto verso gli animali (il pinguino rimasto isolato e destinato a soccombere, la femmina catturata dall’orca), in contrasto con tanti documentari sulla natura a cui la televisione ci ha abituati. In questo senso la scena più violenta è quella dell’avvoltoio che prova ad afferrare i cuccioli, in uno scontro lento e quasi irreale nella sua crudeltà. È altrettanto apprezzabile la cura con cui ci si sofferma sui dettagli; ne è un esempio la scena del difficile passaggio dell’uovo dalla femmina al maschio, che mostra in tutta la sua evidenza come tanta fatica può essere sprecata da un movimento frettoloso o malaccorto.
Il tocco felice del regista sottolinea la poesia stupefacente del corteggiamento, la tenerezza dell’istinto protettivo dei genitori verso i cuccioli infreddoliti, la commozione del ritrovarsi dopo lunghissime e pericolosissime separazioni, ma anche la naturale comicità dei pinguini in fila indiana con la loro andatura barcollante e le loro irresistibili scivolate sul ghiaccio. Una serie di sguardi, dunque, che ci svelano un mondo sconosciuto e dinamiche relazionali altrimenti impossibili da immaginare (la madre che perde il figlio e cerca di rubare il cucciolo ad un’altra femmina lascia semplicemente a bocca aperta). Su tutto la voce narrante, a fare da raccordo ed a spiegare il senso delle diverse marce che i pinguini affrontano di buon grado, ma anche ad offrire talvolta la prospettiva individuale degli animali, umanizzandoli ulteriormente. Nella versione italiana il compito viene svolto da Fiorello ed il risultato appare solo in parte soddisfacente. Se infatti Fiorello è bravo e riesce a trasmettere la sua verve naturale, il suo lavoro è almeno in parte penalizzato da un testo a tratti retorico e dall’evidente intenzione di adattare il prodotto ai bambini. Intenzione più furba che giustificata: La marcia dei pinguini è un documentario in grado di incantare e stupire un pubblico senza limiti di età, come sa fare la realtà, più ancora della fantasia, quando è ben mostrata. E i pinguini non hanno bisogno di voci personalizzate per far scattare l’empatia ed essere protagonisti assoluti della scena: la pellicola li svela superbamente in ogni aspetto, comico, eroico, tenero e drammatico. Dopo la visione di questo documentario non sono solo gli animali panciuti che abbiamo sempre immaginato simpatici, goffi e un po’ defilati (“sorridenti e coccolosi”, come ironizzava la dissacrante lettura di Madagascar), ma anche i genitori pronti al sacrificio contro l’inverno ed il digiuno. e riesce difficile anche solo immaginare gli stoici realizzatori del documentario, costretti per mesi a 40 gradi sotto lo zero in Antartide, la purezza delle immagini ed il fascino del mondo in cui ci hanno permesso di sbirciare fanno venir voglia di ringraziarli.
Nelle remote profondità dell'Antartide i pinguini imperatore compiono ogni anno una lunga marcia per raggiungere il luogo più adatto per riprodursi. Il ciclo della vita segue un rituale tutt'altro che semplice, la cui riuscita ha del miracoloso. Già l'impervio cammino iniziale miete le prime vittime, ma è dopo l'accoppiamento che cominciano i maggiori problemi. Al comparire dell'uovo, infatti, la femmina passa il fragile involucro al compagno, che per due mesi lo protegge con il calore del corpo mantenendolo in equilibrio precario sulle zampe. Intanto la futura madre si dirige stremata verso l'oceano in cerca di cibo. Alla nascita del piccolo, ritornano le madri e se ne vanno i padri, fino a quando i cuccioli non saranno abbastanza autonomi per staccarsi definitivamente dai genitori. Ovviamente la selezione naturale è durissima e sono in tanti a non farcela. Tra venti a centocinquanta chilometri all'ora, gelo in agguato costante e predatori affamati, portare a compimento la missione riproduttiva è impresa quanto mai ardua. Nemmeno per la troupe capitanata da Luc Jacquet deve essere stato facile affrontare condizioni climatiche e ambientali così proibitive. Il risultato, però, sorprende visivamente ma delude per il tono favolistico adottato dalla narrazione che, cercando di compiacere la platea infantile, svilisce il forte potenziale delle immagini. La voce fuori campo del pur bravo Fiorello, infatti, carica di enfasi e retorica la maggior parte delle sequenze, sottovalutando le capacità deduttive dello spettatore. Particolarmente fastidiosa, poi, l'umanizzazione psicologica dell'animale, con l'attribuzione ai pinguini di sentimenti, pensieri ed emozioni prettamente umani. È una scappatoia che nei cartoni animati permette spesso di ironizzare sulle debolezze dell'uomo, consentendo l'immedesimazione dello spettatore, ma in un documentario risulta del tutto fuori luogo. Anche perché la natura messa in scena è già di per sé talmente peculiare e spettacolare che non si capisce davvero per quale motivo si sia deciso di banalizzarla attraverso un commento pedante che assume i toni fastidiosi di una catechesi sulla famiglia. Geniale ma ingannevole il marketing, che ha dichiarato "La marcia dei pinguini" vincente su "La guerra dei mondi", dimenticando di spiegare la differenza tra "media per sala", effettivamente più alta per il documentario, e "incasso complessivo", che ha invece ampiamente premiato il film di Steven Spielberg.