Poliziesco, Recensione

LA FURIA UMANA

Titolo OriginaleWhite Heat
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1949
Durata114'

TRAMA

Un gangster, Cody Jarrett, assale un treno rubando un’ingente somma di denaro. Denunciato da un complice, si accusa di un altro furto di minore importanza. Fugge di prigione per vendicare la morte dell’amata madre, uccisa da un rivale, e muore nell’esplosione di un gasometro.

RECENSIONI

White Heat, calore bianco, è quello che avvolge ed incenerisce Cody sul tetto del mondo, proiettandolo al di là della storia nel regno del Mito. White Heat è uno dei più sconvolgenti gangster movie americani, un dramma psicologico sublime e struggente nello stile dei film anni trenta. Con il personaggio di Cody, bandito paranoico ossessionato dalla figura della madre possessiva (Margaret Wycherley), Cagney chiude il ciclo dei personaggi psicotici ed assassini inaugurato dallo stesso attore in Public Enemy e declinato in senso edipico già nel capolavoro di Hawks, Scarface, il boss innamorato morbosamente della sorella, figura crudele ed indimenticabile interpretata dal grande Paul Muni. Fin dall’incipit il film si rivela, stricto sensu, un film edipico in cui le motivazioni intime del singolo prevalgono sulle dinamiche proprie del genere. Tutto ruota attorno ad un duplice nucleo tematico: l’amour fou per la madre e la ricerca di uno spazio ideale in cui appagare un tale proibito desiderio. La madre, primo motore immobile, guida idealmente le azioni del figlio; verso lei sono indirizzati i pensieri di quest’ultimo, piccolo uomo alla disperata ricerca di una impossibile regressio ad uterum che spezzi le catene della colpa. Jarrett è ossessionato dalla ricerca di uno spazio privato ed esclusivo. La proliferazione delle carte, delle mappe, delle cartine, delle piante, ha un significato connotativo ben preciso: esprime il desiderio di annullarsi nel ventre materno in un luogo ben definito conquistato a tal fine. Solo nella morte, sulla cima di un mondo finalmente dominato, potrà trovare il definitivo appagamento e gridare: “Anyway, Ma, I made it... Top of the world”. Il tocco invisibile di Walsh, il suo lasciare che l’inquadratura sia letteralmente invasa da Cagney (la sua interpretazione è davvero sovrumana) sono un esempio quasi perfetto di quel codice classico che occulta, dietro un’apparente naturalezza, il dispositivo filmico. Un cinema che sembra farsi da sé, dunque, da manuale del film di genere.