Fantascienza, Recensione

INDEPENDENCE DAY – RIGENERAZIONE

TRAMA

Venti anni dopo gli eventi del primo film, ci risiamo.

RECENSIONI

Delusione totale. Non nascondo la mia ammirazione per Emmerich e soprattutto per la sua capacità di oltrepassare i confini dell'americanata per approdare, a fine loop, all'antiamericanata. Il primo Independence Day, ad esempio, affondava talmente il piede sull'acceleratore dell'idiozia yankee da costituirne, insieme, la magnificazione definitiva e la definit'va parodia. In un contesto cinecatastrofico assolutamente ludico e divertente, all'insegna dei milioni di persone polverizzate col sorriso sulle labbra. Per ridere. Concetti mirabilmente confermati da 2012 (il suo capolavoro), edificato 'sulla barzelletta Maya dell'Apocalisse' e costruito come un 'tranello polimorfo, buono per i fans di Voyager e per chi i fans di Voyager li vorrebbe sottoporre ad attenta analisi fenomenologico/antropologico/culturale' (Io, nella recensione del 21/11/2009). L'ultimo Resurgence, sulla carta, non si discosta molto da questo approccio alla materia e non è semplice, infatti, isolare le cause del fallimento. Che però ci sentiremmo di attribuire a una generica svogliatezza del suo Autore, quasi che il sequel di ID fosse un atto dovuto, al quale non infondere vera 'vita'. Perché il cinema di Emmerich rimane, altrove, iperprodotto ma genuino, plastificato ma gioioso, stupido ma consapevole, prevedibile ma, a tratti, imprevisto (la cupola di San Pietro che rotola e trita il Papa, i cardinali e tutti i fedeli in preghiera).

Ecco, Resurgence sembra solo iperprodotto, plastificato, stupido e prevedibile. Prendiamo la sequenza dell'astronave sferica: emerge da un buco nero, la distruggono e poi fanno (quasi) tutti come se niente fosse. Un momento narrativamente inclassificabile e fondamentalmente idiota, trattato però con superficialità. Scorre via inerte, sciatto, senza che l'esagerazione sguaiata prenda il sopravvento innescando la risata stratificata e liberatoria. Tutto il film è un po' così, contiene gli elementi giusti, anche quelli meramente spettacolari, ma li disinnesca sistematicamente senza un'idea divergente o un guizzo che sia uno. Probabile marchetta emmerichiana, insomma, la cui unica utilità è quella di fare da liquido di contrasto per confermare quali splendidi e delicati ossimori fossero i precedenti lavori del buon Roland.