TRAMA
Grecia, 1912: un generale dell’esercito ed un giornalista americano sono costretti su di un’isola, con altri ospiti, a causa di un’epidemia. Una contadina crede che fra loro si nasconda un demone, la Vorvolaka.
RECENSIONI
I film di serie B hanno sempre goduto d'una libertà maggiore delle grosse produzioni hollywoodiane: è possibile, così, imbattersi in soggetti peculiari come questo. Quando a idearli, poi, c'era anche un piccolo genio innovatore come il produttore Val Lewton, il passo dal cult-movie era breve. Memore del proprio lavoro al montaggio per Jacques Tourneur, Mark Robson gioca abilmente con le luci e le ombre, apre tetramente su di un funerario campo dopo la battaglia e sotto un cielo plumbeo, si fa attirare da un canto angelico all'interno di un cimitero, stuzzica il terrore psicologico studiando le dinamiche fra i personaggi rinchiusi nella stessa casa, chiude immergendo di nuovo il tutto nelle tenebre, e fa davvero paura quando fa emergere la "follia" dall'oscurità. Un'epidemia letale, il confronto fra scienza scettica e riti pagani superstiziosi, il faccia a faccia continuo con la morte ed i pensieri funesti che si porta appresso: un film macabro e mortuario, dove Boris Karloff interpreta una non semplicistica figura di generale cinico e spietato, che dovrà fare i conti con qualcosa di più potente ed ultraterreno. L'idea più originale è stata quella di far scaturire il terrore dalla superstizione, e non viceversa: inquietante è chi si fa ossessionare dalla paura, e la paura uccide. La donna fatale tanto temuta (un altro Bacio della Pantera), la "Vorvolaka" delle leggende greche, arriverà per vie traverse, cavalcando una follia "buona", incolpevole quanto letale, speculare a quella di un uomo (Karloff) che s'arroga il diritto di trasformarsi nel cane da guardia tirannico degli astanti, non dissimile dalla follia del cattivo capitano di The Ghost Ship.