TRAMA
Anni sessanta: a Massimo, nove anni, comunicano che l’amata madre è morta. Non si rassegna. Non ci crede. Anni novanta: Massimo è un affermato giornalista e deve sgomberare la casa dei genitori prima del rogito.
RECENSIONI
Bellocchio avvicina il best seller autobiografico di Massimo Gramellini a modo suo, con crisi della fede, psicanalisi, angoscia esistenziale e morte in famiglia (non lontano da I Pugni in Tasca: in un modo o nell’altro, la figura materna va “lasciata andare”). Ma, come per Sbatti il Mostro in Prima Pagina, questo progetto “su commissione” (propostogli dalla produzione), per quanto personalizzato, è come se non appartenesse alle direttrici anticonformiste del suo cinema. A parte gli incastri di flashback, la visionarietà depositata nell’amico immaginario Belfagor ed una riuscita rievocazione d’epoca attraverso il piccolo schermo (con inserti mai casuali, fra tuffi e balli), la narrazione è più tradizionale e meno distaccata del desiderato: i brani del ballo scatenato di Mastandrea, della lettera al giornale (con “emotive” note musicali e controcampo sul pubblico che legge) e della love story con la dottoressa Bérénice Bejo, ad esempio, nelle intenzioni dell’autore portano a termine l’allegoria dell’elaborazione del lutto, nei risultati ricordano le scene di un film hollywoodiano, creando complicità con i sentimenti del protagonista e abiurando la durezza (spesso ironica) bellocchiana. Poco male: anche Gus Van Sant è in grado di passare dalla sperimentazione alla perfezione (autorale) di genere. Perdonando certo overacting (Fabrizio Gifuni ed il piccolo Nicolò Cabras quando s’impone con gli adulti), godendo di parentesi che sono una firma inequivocabile (Chiesa di mezzo e fede/non fede: i potenti assiomi di Roberto Herlitzka), potrebbe funzionare, arricchito dai tocchi personali fra Salto nel Vuoto e Nel Nome del Padre, questo percorso di formazione senza contraddittori e con rivelazioni (nessun colpo di scena: tutto prevedibile). Ma arriva la “buonanotte” e non si fanno bei sogni: si chiudono gli occhi e si ripensa a tutte le parentesi aperte che restano svincolate, prive delle loro potenzialità (Sarajevo servirebbe il cinismo della foto madre/bambino; la madre di Emmanuelle Devos la malinconia della perdita; la fidanzata buddista l’incapacità di “ballare” nuovi amori; il finanziere non serve).
