TRAMA
Ema, giovane ballerina, decide di separarsi da Gastón dopo aver rinunciato a Polo, il figlio che avevano adottato ma che non sono stati in grado di crescere. Per le strade della città portuale di Valparaíso, la ragazza va alla ricerca disperata di storie d’amore che l’aiutino a superare il senso di colpa. Ma Ema ha anche un piano segreto per riprendersi tutto ciò che ha perduto.
RECENSIONI
CREAZIONE
La giovane ballerina Ema (Marina di Girolamo) e il coreografo/regista Gastón (Gael García Bernal) sono sposati. Lui è più anziano di lei di undici anni, lei danza nella compagnia del marito e insegna la propria disciplina ai bambini di Valparaíso. Ema e Gastón hanno rinunciato a Polo, il figlio che hanno adottato, dopo aver fronteggiato i problemi di aggressività manifestati da quest’ultimo, e si rinfacciano egoisticamente le rispettive responsabilità. La sterilità dell’uno si riflette nelle difficoltà affettive dell’altra, ed è su questo rispecchiamento anti-creativo che Pablo Larraín insiste; il montaggio formale che mette i due volti uno di fronte all’altro, testimonianza del rifiuto della modalità vetusta del campo/controcampo, si estende a livello strutturale nella magnificenza dei primi minuti del film, nei quali assistiamo alla corsa parallela e alternata di due scenari opposti: da una parte, la distruzione relazionale della coppia; dall’altra, l’esito del lavoro artistico che vede coinvolti i protagonisti.
All’inizio dell’opera del cineasta cileno, infatti, l’armonia estetica e performativa resa visibile dallo spettacolo che i coniugi rappresentano con la loro compagnia (sullo sfondo della coreografia, uno schermo trasmette l’immagine di un’enorme stella infuocata) si scontra con l’esperienza della creazione mancata fuori dalla scena. Ciò che entra in risonanza nella pratica artistica non si ripete, insomma, nell’esperienza di vita quotidiana. Questo processo non può che avere ricadute pesanti sull’esistente tutto: la crisi coinvolge infatti, poco più avanti, anche la compagnia di ballo, estendendo successivamente le proprie maglie in direzione dell’istituzione famigliare, istituzione che in corso d’opera viene largamente discussa e ripensata. Sarà Ema (e le compagne che fanno eco alla sua avventura: come vedremo, la vera forza rivoluzionaria nel film di Larraín s’incarna nei corpi femminili) a smembrare la relazione dei nuovi genitori adottivi di Polo, Aníbal e Raquel, divenendo amante di entrambi e coinvolgendo Gastón in un nuovo possibile nucleo familiare/comunitario. Pablo Larraín descrive questa parabola in termini, come suggerito poc’anzi, puramente filmici (le inquadrature a specchio, il montaggio alternato che si sviluppa progressivamente su più piani, l’elemento musicale che poco a poco assume sempre maggiore importanza creando cortocircuiti continui nella narrazione), e cerca di aderire quanto più possibile ai mutamenti interiori della protagonista, vero catalizzatore di tutte le forze coinvolte.
CONSERVAZIONE
Nel film del regista cileno, l’archetipo maschile è deputato al mantenimento dell’ordine costituito. Gastón è il primo a voler conservare un legame con la totalità espressiva del suo paese, con lo spirito originario che lo attraversa, con la dimensione folklorica che sta scomparendo poco a poco. La crisi con Ema e con la compagnia, infatti, raggiunge lo zenit durante le prove per l’allestimento di uno spettacolo ispirato ai ritmi della tradizione: un’amica di Ema, senza indugiare, gli ricorda come lui stia percorrendo “una strada immaginaria di cento anni fa”, rimarcando la distanza tra l’attaccamento culturale di Gastón e il movimento implacabile della realtà. La spontaneità primitiva della musica contemporanea (nella fattispecie, il reggaeton) minaccia, quindi, l’impalcatura su cui si regge il sistema di riferimento di Gastón e, in parallelo, lo spettatore assiste a un movimento simile intorno al personaggio di Aníbal (Santiago Cabrera): “Prima di sposarla, ho pensato che con questa donna avrei fondato una civiltà, una cultura”, confessa il padre adottivo di Polo a Ema, testimoniando il fallimento della relazione coniugale con Raquel. La protagonista si muove quindi dentro un universo che mostra i segni del decadimento, i sintomi della sconfitta di fronte a un nuovo ordine che porta con sé le stimmate della distruzione.
RIASSORBIMENTO
Ema si apre con un semaforo ardente, nel cuore della notte. La macchina da presa retrocede mostrandoci la protagonista che impugna un lanciafiamme, anticipando allo spettatore la tensione interna che si dipanerà nel corso dell’opera. Nel mezzo, assistiamo alla costituzione di un’ipotesi di rivoluzione della struttura famigliare tradizionale, rivoluzione che conduce i personaggi a inscriversi, con le inevitabili resistenze che il processo trascina con sé, in un cerchio poli-parentale e poli-amoroso: è la stessa Ema, come accennato poc’anzi, a costruire poco a poco il disegno della propria realtà interiore, sia nella sua dimensione puramente ricettiva/simbolica (la liberazione attraverso il reggaeton, la fluidità della danza che purifica la forma stessa della narrazione e determina, nel suo processo ritmico multidimensionale, l’aspetto più vivo e interessante del film di Larraín), sia sul piano filosofico/sociale (Ema afferma con decisione di essere “amore”, e di non poter quindi accettare un mondo dove l’affettività sia determinata su base esclusiva). Nonostante questo, il germe della distruzione continua a crescere e, imprevedibilmente, un frammento finale ci porta a rimettere tutto in discussione. L’ultima inquadratura del film, infatti, priva di movimento e di brevissima durata, quasi impalpabile nel suo “rubato” interferire, rimarca la natura aporetica del dialogo che abbraccia le forze in opposizione: vediamo Ema sostare di fronte a una stazione di servizio, mentre un benzinaio riempie una tanica, prima che i titoli di coda arrivino a interrompere il flusso. Riabbracciando l’esordio incendiario dell’opera, il finale suggerisce come il nuovo microcosmo affettivo e relazionale sia solamente una delle molte vie percorribili, un’accidentale contingenza indefinita che, nel suo carattere evanescente, sarà oscurata in un battito di ciglia da un processo distruttivo incessante e inarrestabile.
Emblematicamente, è la stessa Ema a incarnare lo zeitgeist con una dichiarazione di intenti priva di equivoci: “bruciare per seminare”.