Azione, Fantascienza, Recensione

DEATH RACE

Titolo OriginaleDeath Race
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2008
Durata105'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Il duro dal cuore tenero ex campione automobilistico Jensen Aimes finisce in carcere ingiustamente accusato di uxoricidio. La direttrice del penitenziario gli propone di partecipare a una corsa a eliminazione stile Ken Falco, se vince tornerà in libertà…

RECENSIONI

Fast and Furious (ma per davvero)

Questa recensione camminerà sul filo del rasoio, e forse finirà per tagliarsi. Nel senso che il rischio è quello di indulgere in impostazioni critiche irricevibili (o semplicemente obsolete) del tipo “è talmente brutto che è bello” et similia. Intanto, Death Race è una bomba a grappolo di clichè; vi confluisce una pletora di loci talmente comuni da lasciare storditi: il duro-ma-buono-ingiustamente-accusato, il quale è anche ex-campione-sportivo-che-torna-in-attività, il filone futuro-post-qualcosa tutto, con la società in sfacelo e bla bla bla, il filone carcerario tutto, col direttore/dittatore, delinquenti buoni/cattivi e bla bla bla, e ancora il revenge movie con altri, relativi sotto-clichè, e quindi Fuga da Alcatraz e Fuga per la vittoria e Rollerball e Mad Max e The Running Man e relative filiazioni più o meno illegittime. E ovviamente Death Race 2000, ché di remake, comunque, stiamo parlando. E qui siamo già al bivio: il film di Anderson è un semplice macro-riciclaggio privo di idee o un’efficace riproposizione dello spirito “Corman Production” dell’originale? E’ certo un B-Movie, sì, ma con quale grado di (a) consapevolezza e (b) di efficacia cinematografica? (a) : rispetto a DR2000 qualche edulcorante c’è (manca l’aspetto “investimento dei passanti a punti” ¹, ad esempio) ma ci sono anche particolari che sfuggono all’odierna inoffensività di prodotti apparentemente omologhi e “moderni” come Fast and Furious: il personaggio di Tyrese Gibson, ad esempio, ex cattivo che nel finale diventa un simpatico ragazzone culo e camicia con l’eroe, sembrerebbe il classico deuteragonista di genere hollywoodiano, se non fosse per il suo insolito, minimo Bildungsroman : i personaggi “come lui” sono sistematicamente finto-malvagi, protagonisti di marachelle passate o fuori campo e comunque addolcite da tutte le attenuanti del caso, con un percorso di formazione li porta alfine a redimersi. Machine Gun segue un percorso diverso, Machine Gun “si bonifica”, sì, ma prima era una carogna genuina, fumettistica ma nondimeno spietata (specie coi suoi navigatori). Sono particolari stranianti, che se non elevano quantomeno distinguono Death Race dalla massa per avvicinarlo a quello spirito B, anarcoide ed eversivamente caciarone, dei 70s di riferimento. (b) Quello di Anderson è un film basico che funziona anche in virtù della sua semplicità. Narrativamente costruito su tutti gli archetipi fossili di cui sopra, lascia via libera a fonti di intrattenimento primario, viscerale. Come i pezzi migliori degli AC/DC, che hanno testi analfabeti, strutture elementari, ma riff che estorcono l’ air guitar e sezioni ritmiche ricattatorie, Death Race è tutto giocato su un’emotività primordiale, sulle sequenze di corsa e sul ritmo. Le death races riescono ad essere realistiche nella loro idiozia (le auto, ad esempio, non hanno infiniti rapporti come nei citati F&F), sono coreografate in modo fantasioso, violente al punto giusto e comprensibili: merito di una regia e un montaggio all’antica, che non sacrificano l’intelligibilità sull’altare della “velocità” a tutti i costi ma lasciano intuire dov’è piazzata la cinepresa (e perché) e sanno concedere il campo lungo chiarificatore quando serve ² Bene così. Della sceneggiatura un po’ demente si è già scritto, basti aggiungere che pecca di cristallina incoerenza interna, nessuno degli attori sembra sfoggiare qualche master in “metodo Stanislavskij” e, no, Death Race non è un film “talmente brutto che è bello”, Death Race è un film, ecco, divertente .

¹ Death Race 2000 è noto come fonte di ispirazione per il controverso videogioco Carmageddon (1997, SCi) e relativi seguiti/conversioni. In realtà, già nel 1976 la Exidy aveva prodotto un cabinato chiamato proprio DeathRace nel quale si dovevano investire dei passanti (istantaneamente “sostituiti” da croci una volta accoppati). Fatto sta che Anderson ribadisce il suo rapporto privilegiato col mondo dei videogiochi, visto che non solo struttura il film a livelli (tre gare di difficoltà crescente, con upgrade dei mezzi da un livello all’altro) ma li dissemina di riferimenti inequivocabili: le caselle sulla pista che attivano le armi sono un chiaro omaggio a Shigeru Miyamoto e al suo seminale Super Mario Kart.

² In realtà, Anderson fa anche altre coselline non disprezzabili: si veda la sequenza dell’uccisione della moglie di Jensen, nella quale risolve una breve ellissi con una plongée su un soffritto di cipolle.

Paul W. S. Anderson è forte: dà sempre quel che promette. Che non sono sapida trama (qui prevedibile, con colpi di scena anche telefonati), psicologie raffinate (anche se l’Anderson sceneggiatore sa sorprendere con qualche dialogo e risvolto rifinito) o sottotesto, a meno che non si voglia vedere l’allegoria delle carceri che annichiliscono invece che recuperare i detenuti. Come dice la sexy (Natalie Martinez) navigatrice del duro Jason Statham (perfetto physique du rôle dell’eroe che non si piega): “Fai quello che sai fare meglio: guida!”. E Anderson lo fa davvero bene: le corse, divise in stage da videogioco come piace a lui (la filosofia della consolle, più che l’estetica, è il suo credo), sono una figata pazzesca, esaltanti, adrenaliniche, brutali, spettacolari. Poi ci sono una Joan Allen che mette i brividi, bionda rigida e spietata, il sempre grande Ian McShane, montaggio e riprese da gran tecnico dell’emozione d’azione. Solo nominalmente, è il rifacimento del più umoristico e feroce (politicamente e per l’idea del punteggio con i civili investiti) Anno 2000 la Corsa della Morte (1975) finanziato da Roger Corman (qui produttore esecutivo): gli sport all’ultimo sangue in futuri apocalittici sono un sottogenere del cinema d’azione ma Anderson supera le fonti con questa pura messinscena truzza, facendo Mad Max in un classico prison-movie (tutti i cliché rispettati). In Italia è circolata la versione da 105’ contro l’originale di 111’: non si tratta tanto di scene censurate ma di dialoghi editati per accorciare la durata della pellicola.