TRAMA
Entrata nello studio di un analista, Anna inizia a parlare dei suoi problemi coniugali. C’è solo un problema: William non è uno psicologo, ma un consulente fiscale.
RECENSIONI
Una stanza in penombra, due personaggi ermetici e opposti, il caso (per nulla casuale, forse) all’opera: parole in libertà vigilata, sonori silenzi, tensioni serpeggianti, tracce di un’attrazione destinata a trasformarsi in qualcosa di meno provvisorio (oppure no). Il nuovo film di Leconte è un’amara delusione: la promettente premessa (una coppia impossibile e “necessaria” come quelle di TANDEM, de LA FILLE SUR LE PONT, del recente HOMME DU TRAIN) sfocia in un’opera irrisolta, vittima dei propri (non abbastanza) delicati paradossi. Attentissimo a evitare le trappole del sentimentalismo, il regista finisce per ridurre i personaggi a diafane figurine, monocorde pretesto per una messinscena che rumina senza tregua due o tre idee fisse (il focus rivelatore, le luci dal retrogusto onirico e vagamente espressionista e poco altro) e rimpolpa il tutto con allusioni gridate (i contrappunti soap e noir, gli echi hitchcockiani e polanskiani), asfittiche parti secondarie (il paziente claustrofobico) e annotazioni (nelle intenzioni) umoristiche. Dopo una prima parte giocata con scioltezza e fulgore visivo (bellissimo il prologo feticista, coi titoli di testa che si succedono su uno sfondo astratto destinato a rivelare solo alla fine la propria vera natura), CONFIDENCES TROP INTIMES scivola nelle acque di una maniera lucidata quanto melmosa, e il finale entomologico ha il sapore di un progetto abortito. Luchini gioca di sottrazione, risultando molto più convincente di una Bonnaire che si limita a cambiare abito a ogni scena

Titoli di testa sul vetro screziato di una portafinestra, piedi femminili in soffice movimento sul selciato: la prima inquadratura azzarda la sintesi di un doppio personaggio (opposto e speculare), disegnando la linea di un incrocio umano che dimostra (un’idea fondante) prima di mostrare (volti, gesti, animi). Nel rispetto dell’assonanza con l’opera precedente (il confronto dei caratteri ne L’UOMO DEL TRENO) il regista rinchiude il film in una situazione (di partenza) e pare buttar via la chiave: donna disperata scambia fiscalista per psicanalista, incontro tra due solitudini, interazione e conoscenza, incastro perfetto, nascita di “qualcosa”. CONFIDENZE che rischiano di cadere nel vuoto, dunque, increspate da siparietti risaputi (la segretaria dello studio), citazioni male invecchiate (le finestre sul cortile) e francesismi dall’aldilà (lo strizzacervelli declama Baudelaire). In questo terreno da trasferta, in cui l’eleganza rischia lo snobismo (l’insistere sui costumi) e l’intreccio a prova di esterni –un’unica location o quasi- imbocca il viale teatrale del canto/controcanto (ma anche la guerra dei sessi), Patrice Leconte conferma sagacemente il suo estro nello sfumare l’ovvietà e vivacizzare lo stereotipo: riempie di echi sinistri il dialogo a due voci (l’ombra del marito), instilla il tarlo del dubbio (Anna mente come la NATHALIE di Anne Fontaine?), vira puntualmente sulle tinte del thriller (l’uomo nella tenebra dello studio) ed infine maneggia amabilmente una sospensione soffusa che mai svanirà del tutto. Compreso il platonico finale, un pezzo di metacinema in cui si ricostruisce altrove il set (lo studio) di una vita intera. Il cineasta si lancia in un’irrevocabile fuga dallo schema, meticolosamente aggirato per vie traverse, approdando ad un totale filmico del tutto personale cui il tratteggio di William è dimostrazione lampante: grigia figura operaia, egli è impeccabile fino all’asessuato. Poi, all’improvviso, lampi di rappresentazione squarciano il tendaggio dell’apparenza: l’ex moglie si produce nell’allusione sessuale, lui scalpita in reazione isterica. E ancora, una piccola scena di grande splendore: l’uomo entra in un negozio, non ci importa perché, fa le sue compere ed esce. Si ferma ad osservare i culi rotondi di due ragazzine. E’ un attimo, è già finito. Impagabili fragmenta di sottigliezza che, parandosi da sparute goccioline di retorica sentimentale, sono pronti a tuffarsi rapacemente nell’acquario della vita.
