TRAMA
Roberto, eccentrico maestro d’asilo in quel di Bologna, con un passato da sovversivo, cerca di strappare i bambini dalle brutture di un moderno soffocato nei grattacieli e inaridito nei rigidi ruoli degli adulti che esprimono il “Sistema” attraverso le forze di polizia, i complessi industriali con gli operai, l’inefficace medicina ufficiale.
RECENSIONI
La "Resistenza" dei bambini è iniziata: l’ex-contestatore sta dalla loro parte. La prima parte gira a vuoto: fra Marco Ferreri e Roberto Benigni s'instaura un complice "tira e molla", fra i simbolismi ed il clima da alienazione voluti dal primo ed il fare clownesco, improvvisato e caloroso del comico. Ferreri semina segnali contraddittori (la televisione e gli ufo robot rimbecilliscono gli infanti ma, d'altra parte, non hanno già "in nuce" moti di violenza e marchi di stoltezza?), tiene a bada l'esuberanza del toscano ma favorisce la sua impronta lirico/surreale/sentimentale/ribelle. Benigni accentra l'attenzione sul tenero rapporto che instaura con i bambini, asseconda il "cinico documento antropologico" del regista ma, infine, lo coinvolge in un moto affettuoso e di speranza, coronato dal finale che cita Il Monello. Dopo tanto girovagare senza meta, con l'unico scopo di perseguire il piacere, la libertà e la fantasia (ad immagine e somiglianza della mente di un bambino), la pellicola si decide, finalmente, a "chiedere asilo" in una comunità primigenia, in una "comune" sarda più prossima alla natura, organizzata dentro un ex-cinema (guarda caso…), con una coppia di genitori formatasi spontaneamente (non istituzionalizzata né fondata sul ricatto della gravidanza) e con fratelli che non sono necessariamente di sangue. Il piccolo Gianluigi diviene il simbolo di un'infanzia alienata che, attraverso il mutismo e l'inappetenza, comunica il proprio disagio. Fra tanti girini messi al mondo, uno si può salvare, grazie agli outsider, che Ferreri rappresenta come simpatici freaks (vedi Benigni e l'amico "animatore").