Senza stipendio da quattro mesi, un gruppo di giovani muratori precari lascia Dakar alla volta della Spagna. Uno di loro, Souleiman, lascia in patria un’amante già promessa a un altro uomo, molto più facoltoso (e a propria volta emigrato in Italia, dove risiede la maggior parte dell’anno). Il giorno del matrimonio, la sua casa si accenderà in una misteriosa autocombustione; tanto misteriosa che il sospetto che ci siano di mezzo nientemeno che i Djinn (spiriti/demoni della tradizione coranica) si rivela presto fondato…
Dopo qualche corto e mediometraggio interessante, Mati Diop esordisce nel lungometraggio. Nipote d’arte, qualcosa del magistero del geniale zio (Djibril Diop Mambety, tra i maggiori registi africani di sempre) assorbe, ma Atlantique rimane, purtroppo, un’opera sostanzialmente acerba, che alterna irresolutamente buone intenzioni a cose un po’ troppo tirate via. Un film che comincia in medias res con un conflitto sociale, con gli operai che vanno a reclamare i propri salari non pagati, senza alcuna transizione né preparazione drammaturgica, fa certo ben sperare, ma quasi subito il livello politico-ideologico del film sembra soffrire qualche incongruenza: se ci si concentra sulla mobilità del lavoro, con gli operai costretti a emigrare, non ha molto senso non considerare la mobilità del capitale che all’altra è strettamente collegata – tanto più che è estremamente probabile che quell’avveneristico grattacielo in riva al mare che stavano costruendo è stato finanziato da capitale transnazionale… Certo, chiamare in causa cinematograficamente questo tipo di mobilità, immateriale per definizione, è sommamente difficile, ma ci si sarebbe potuto provare… Sulla scia dello zio, Mati prova a costellare il suo racconto di parentesi descrittive che pian piano si trasformano in rime liriche (la ricorrenza di immagini del mare, del sole etc. slegate dalla storia), ma se nel caso dello zio queste digressioni lanciavano il film in orbita, nel caso della nipote sussiste un forte sospetto di decorazione fine a se stessa… È senz’altro apprezzabile che questa o quella circostanza del mondo che circonda Ada fanno irruzione spesso e volentieri in maniera selvaggiamente descrittiva, senza stampelle narrative (su tutti: l’impietosa descrizione delle donne in età da marito di quell’ambiente), ma d’altra parte alcune cose rimangono spiacevolmente inspiegate: se gli immigrati morti in mare la notte possiedono le proprie fidanzate e le spediscono dal capocantiere per esigere i loro soldi, perché invece Souleiman va a possedere un acciaccato (per quanto avvenente) poliziotto, che prevedibilmente si unirà a Ada? E anche qui, se non è peregrino identificare la ragione di questa scelta (che comunque il film non chiarisce esplicitamente) in una specie di ingegnoso rinforzo dell’idea che i Djinn stanno cercando giustizia al di fuori della legge, perché la legge protegge i potenti (il poliziotto in questione è appunto entrato più volte in conflitto coi capi a questo medesimo proposito), d’altra parte rimane il sospetto che una tale soluzione sia una scorciatoia un po’ facile per far ritornare Souleiman in una forma tale da poterlo ricongiungere con Ada per mero vantaggio drammaturgico, come “esca” emotiva nei confronti dello spettatore… Questa stessa scelta, inoltre, è tanto più dubbia in quanto comporta un’ambigua separazione del caso di Ada da quello delle compagne, e dunque una individualizzazione del conflitto sociale di cui i Djinn decidono di farsi collettivamente carico…
E questo rimane il problema principale: scomodare gli zombie (finanche nella loro variante-Djinn) per manifestare un conflitto sociale nel 2019 è accettabile solo se variazioni valide vanno ad accompagnare questo tema, altrimenti piuttosto frusto e abusato… ma è legittimo sospettare che non sia questo il caso. E più in generale, è difficile dire se questo miscuglio di realismo terra-terra e soprannaturale sia affascinante e sbilanciato o calcolato inertemente a tavolino… ma è anche vero che a Mati Diop le idee non mancano, e nemmeno le potenzialità: attendiamo dunque il seguito della sua carriera fiduciosi che sappia mantenere queste promesse…