TRAMA
Seconda Guerra Mondiale: rachitico e malaticcio, Steve Rogers non riesce a farsi arruolare per servire il suo paese, ma uno scienziato ebreo-tedesco ne intuisce il cuore e il coraggio, e lo sceglie come cavia per l’esperimento governativo che, tramite siero, vuole creare dei super-soldati. Funziona a meraviglia, ma un agente del Teschio Rosso, a capo della divisione scientifica Hydra del Terzo Reich, distrugge il laboratorio e uccide lo scienziato.
RECENSIONI
Questa creatura della Marvel è terreno ideale per il cinema classico, d’avventura e un po’ retrò di Joe Johnston, artigiano della serie B hollywoodiana tutto da riscoprire: il regista pare tornare ai tempi del suo Rocketeer, ugualmente tratto da un fumetto supereroico (ma degli anni trenta) e a Cielo d'Ottobre. Capitan America (perché lasciare il Captain anche in italiano?) è, infatti, una figura anomala nell’universo di Stan Lee, poco hi-tech, molto guida spirituale e simbolo dei valori del passato. Nacque come eroe propagandistico nel 1941 per la Timely Comics, ebbe il suo serial cinematografico nel 1944 e fu ripescato nei Vendicatori marveliani nel 1964, per poi ottenere un albo tutto suo con storie “classiche” e non sempre sorprendenti: la sceneggiatura dei due autori de Le Cronache di Narnia (Christopher Markus e Stephen McFeely che, per fortuna, qui sono meno grossolani) sceglie di narrarne i natali nel secondo conflitto mondiale ma, allo stesso tempo, lo trasforma in emblema di un’America autocritica, eroica ma non violenta (Steve Rogers usa solo lo scudo di difesa), che lotta per essere giusta prima che per debellare il nemico. L’idea è di disegnare un personaggio “saggio” che possa attraversare indenne anche le malefatte del paese che rappresenta. L’effetto speciale più sorprendente è quello che rimpicciolisce e rende mingherlino l’ottimo Chris Evans (già Torcia Umana ne I Fantastici Quattro), in una sorta di Il Curioso Caso di Benjamin Button in cui Johnston, come amerebbe fare Spielberg, rincorre il futuribile retrò in un’opera che può permettersi di essere (quasi) tutta all’insegna dell’azione, grazie ad un protagonista dal forte spessore morale che garantisce un saldo ancoraggio alle componenti umanistiche ed emotive. Un’avventura che scorre perfetta per ritmo e passi drammaturgici, proprio come sapevano fare certi film d’avventura (senza pretese) della Hollywood d’oro. Ovvio, non c’è paragone con l’alimentare, omonima, scult trasposizione del 1990 e con i due Tv movie fine anni settanta incentrati sullo stesso personaggio.