TRAMA
Baltimora, anni ‘50. Giovane teppista dal cuore d’oro conquista pollastrella dell’alta società canterina.
RECENSIONI
Romeo e Giulietta in una Silly Symphony in acido, fra scene e costumi che sembrano presi di peso da una scatola di Lego, melodie d’epoca impeccabilmente riscritte (soprattutto a livello visivo, vedi l’esibizione di Allison al party della nonna) e uno spirito sornione e sulfureo, anni luce dalla sterile filologia e dalle ancor più sterili didascalie alla Pleasantville. Waters non pontifica sul conformismo di ieri (e di oggi) ma, pazzo e meticoloso come al solito, gioca con immagini, rituali e (stereo)tipi d’epoca, portando alle estreme ed esilaranti conseguenze quel bizzarro gioco di ruolo, intessuto di coreografica idiozia, che definiamo “realtà”. L’occhio del regista non concede sconti, smonta impassibile e feroce le convenienze mondane e gli intrighi del cuore, si concede scene di massa dai dettagli impagabili (la vaccinazione iniziale, il ballo), impone all’eccellente cast una recitazione in magico equilibrio tra il fumetto e Happy Days, firma un’opera la cui caramellosa superficie sottolinea, per contrasto, quella lucida e mai indulgente perfidia che è cifra caratteristica del cinema di Waters. Sotto il divertimento serpeggia – vedi i quadretti en famille, nelle villette a schiera e nelle aule di tribunale – la dinamite casalinga pronta a esplodere in Serial Mom.

Divine è morta/o ma Waters persiste con la commedia grottesca (anti)nostalgica stile Grasso è Bello, reiterandone cedimenti (il racconto che, dopo le buone premesse, s’affloscia nella seconda parte) e pregi nell’affascinante caleidoscopio Pop di musiche, coreografie, colori, scenografie e costumi kitsch. Individua un manipolo di personaggi macchiettistici gustosissimi, fra cui “Belvedere” (Iggy Pop), la ragazza dal volto orribile “Mannaia” (divertente la gag in cui spaventa il pubblico molto più de Il Mostro della Laguna Nera che stanno visionando) e “Cry baby”, con lacrima solitaria e canto stile Elvis Presley, invero un personaggio non definito al meglio, al punto che Johnny Depp pare spaesato, non sapendo bene come e quando calcare la sua Gioventù Bruciata (vedi il finale). Il racconto, per metà farsesco e per metà romantico, si fonda sulla contrapposizione fra bigotto perbenismo borghese (la famiglia “bene” dietro alla ragazza protagonista) e sfrenatezza del rock’n’roll, simbolo di sesso, violenza e spregiudicatezza, retaggio di rifiuti della società con alle spalle famiglie disastrate e/o bizzarre, fra predicatori, psicopatici finiti sulla sedia elettrica e noiosi progressisti. Ha i suoi snodi banali e obbligati, fra l’Amore infranto per un equivoco e la figura della zia snob che si converte alla causa giovanilistica: l’ex-cinema gloriosamente “spazzatura” del regista di culto, cioè, è fin troppo levigato, per quanto permanga la passione per i “non regolari”, gli outsider. Fra idee a profusione, tanto banali quanto illuminate (l’orfanotrofio come show-room con i suoi “stand”), la provocazione di Waters non graffia, è fatta di brillantina (echi di Grease) e blue jeans, resta autoreferenziale ad anni in cui bastava avere i capelli lunghi, un giubbotto di pelle, baciare con la lingua e liberarsi sessualmente per creare scandalo. Ma è il gusto ironico e parodistico della messinscena surreale a contare.
