Fantascienza, Sala

L’ARRIVO DI WANG

TRAMA

Gaia, un’interprete di cinese, viene chiamata per una traduzione urgentissima e segretissima. Si troverà di fronte Curti, un agente privo di scrupoli, che deve interrogare un fantomatico signor Wang. Ma per la segretezza l’interrogatorio avviene al buio e Gaia non riesce a tradurre bene. Quando la luce viene accesa Gaia scoprirà perché l’identità del signor Wang veniva tenuta segreta.

RECENSIONI

Lode ai Manetti Bros per tentare strade poco battute nel panorama del cinema italiano. Il tanto dibattuto, bistrattato e, chissà perché, abbandonato, cinema di genere torna così alla ribalta con un soggetto impensabile entro i nostri confini: l’invasione aliena. Chi pensa che l’epicentro di un attacco debba, sempre e comunque, essere New York, si dovrà quindi ricredere. Questa volta la fantascienza atterra a Roma. Brillante il soggetto, su cui è meglio non rivelare nulla per non rovinare la sorpresa allo spettatore, e funzionale anche l’utilizzo degli effetti speciali. Per una volta il low budget non impone di lavorare esclusivamente nell’ombra, rendendo necessario alludere piuttosto che mostrare. La creatura aliena in computer grafica, infatti, è frutto di effetti digitali adeguati che le consentono di esibirsi senza sfigurare.

Ciò che all’inizio appare solido, ma alla lunga si rivela invece cedevole, è la sceneggiatura. La presentazione dei personaggi, ottimamente interpretati tra l’altro (Ennio Fantastichini una conferma, Francesca Cuttica una scoperta), le differenti caratterizzazioni, la contingenza della situazione, creano le premesse per un forte coinvolgimento. Interessante anche il sottotesto che pone interrogativi non banali sulla fiducia da riporre nell’altro, chiunque esso sia, uscendo da tesi buoniste e optando per il beffardo. L’incantesimo si rompe nel momento in cui la vicenda sembra stagnare e ripetere, con lieve progressione, lo stesso meccanismo (il nulla di fatto dell’interrogatorio e il ritornello di Amnesty International come possibile via di fuga). La tensione segue di pari passo la concitazione degli eventi, ma rimane anch’essa vittima di una caduta prima del finale ad effetto, tanto che lo spettatore ha tutto il tempo di anticipare gli eventi.

Meno riuscito, sempre in prossimità dell’epilogo, anche l’intervento delle forze militari e l’organizzazione delle poche sequenze di azione, che sconta il confronto, impari, con chilometri di pellicole made in U.S.A. Al di là di qualche ingenuità e di un ritmo disuguale, però, l’esperimento si può dire riuscito: anche in Italia, con un po’ di inventiva, curiosità e coraggio, si può fare, oggi, un film di fantascienza.

Titolo che verrebbe voglia di premiare, incensare, osannare solo perché, con coraggio, tenta finalmente anche in Italia di darsi al film di genere, da cassetta, addirittura di fantascienza e competitivo, almeno per quanto riguarda gli effetti speciali, per il mercato internazionale. Bravi i Manetti bros., super. Poi, però, la domanda sorge spontanea: perché impegnarsi tanto per gli effetti digitali, pregevoli, soprattutto riguardo alla creatura aliena 3D (meno per La Guerra dei Mondi a Roma) e non curare anche tutto il resto, scenografie, fotografia, recitazioni? Da un lato, i due fratelli replicano il loro cinema fanzinaro a bassissimo costo, dall’altro, lasciando la pellicola in post-produzione per un anno, tentano il colpaccio stando al passo con i tempi. La scollatura è incredibile: a eccezione di Francesca Cuttica ed Ennio Fantastichini, credibili, ci sono attori di contorno “de Roma” da paura, Juliet Esey Joseph compresa, e pare essere di fronte ad un filmino amatoriale di un aspirante regista ingegnoso, che sfrutta i sotterranei in cemento armato del condominio della nonna. Comunque, drammaturgicamente: funziona il mistero iniziale, è grande la sorpresa all’apparire della creatura dalle movenze perfette, niente male il gioco di flashback annunciati, peccato per temi e racconto un poco risaputi, da Robert Heinlein a L'Uomo che Cadde sulla Terra, e per un finale shock abbastanza prevedibile, con un “Sei proprio una cretina” come ultima battuta che, se fa simpatia, è più da bar dello sport che “epica”.