TRAMA
Il regista A. ritorna negli studi cinematografici di Roma per continuare a girare un film che aveva interrotto per ragioni sconosciute._x000D_
Il film narra di sua madre e del suo legame con due uomini che amò fino alla fine e che l’amarono fino alla fine. _x000D_
RECENSIONI
Secondo capitolo della trilogia della Terza Ala, dopo il bel La sorgente del fiume, il film ripropone, a ben tre anni dalla sua realizzazione, il cinema orgogliosamente fuori dai tempi del maestro greco.
Disinvolto nel proseguire la sua saga frammentata (i personaggi sono gli stessi del precedente, sì, ma non proprio) che attraversa la seconda metà del XX secolo, il regista torna a narrare di dilanianti separazioni e tardive riunioni, tutte segnate da drammatici eventi epocali, rivissute da una prospettiva presente non del tutto conciliata. Si sorvoli pure sulla sceneggiatura, punteggiata da passaggi pesantemente melodrammatici, da un poeticismo sempre ostentato (il Guerra touch si fa sentire
), da riflessioni ovvie ad alta voce, elementi a cui abbiamo fatto labitudine: quel che conta, come sempre, è il respiro dellimmagine cui Angelopoulos conferisce tutta la forza espressiva del suo cinema.
Nonostante alcuni squarci di indubbio fascino, che dicono ancora della grandezza dellautore, il film non ha tuttavia lo smalto del primo episodio, si perde in una molteplicità di livelli, di tempo e realtà, in cui immaginazione, memoria, sogni, divagazioni si sovrappongono, mantenendosi in un precario equilibrio - spesso perso - e proponendo un piano di narrazione contemporaneo - epoca in cui la violenza sopravvive sotto nuove forme - quasi indifendibile, in cui il protagonista A.(ngelopoulos?), regista americano di origini greche alle prese con un film interrotto (quello che narra le vicende della madre, divisa tra due uomini), tiene le redini dellimpianto narrativo struggendosi sul tormento passato (fu costretto a fuggire in Canada per evitare il Vietnam) e su quello attuale (il divorzio doloroso, il mal di vivere di una figlia a lungo trascurata).
Muovendosi tra Kazakhistan e Siberia, Italia, Germania fino agli Stati Uniti, Angelopoulos getta il suo disilluso sguardo sulla Storia annodando fili, sciogliendone altri, accumulando simboli, inventando geometrie sublimi per una magniloquente messa in scena che lega i diversi piani col filo rosso della significativa traccia musicale.
La polvere del tempo si è depositata, come la neve joyciana del finale, anche sul cinema del regista che quasi sembra rivendicarla, opponendo la sua cocciuta autorialità allo spettatore odierno abituato a tuttaltro girare, legittimando qualsiasi atteggiamento - dallindifferenza al rispetto - nei confronti di unopera che mostra con spudorata temerarietà le sue venerande rughe.