TRAMA
Il barbagianni Soren cresce sognando le eroiche gesta dei Guardiani, gufi guerrieri in lotta contro il male. Quando lui e suo fratello vengono rapiti dalla malvagia stirpe dei Puri si rendono conto che non si tratta solo di una leggenda e che il popolo dei gufi dovrà affrontare una nuova guerra.
RECENSIONI
Anche i gufi fanno il loro ingresso, un po' a sorpresa, tra le star del grande schermo. In precedenza erano stati riservati loro soltanto ruoli ampiamente secondari, il più memorabile dei quali resta l'amabile Anacleto de La spada nella roccia.
Tratto da una lunga saga fantasy per ragazzi, "I guardiani di Ga'Hoole" di Kathryn Lasky, il film riprende le vicende narrate nei primi tre romanzi della serie e prosegue in quel saccheggio cinematografico della letteratura fantastica che sta caratterizzando gli ultimi anni. Le ragioni evidenti sono il tentativo di cavalcare il grande successo letterario del genere, la sua capacità di valorizzare al massimo le moderne tecnologie, la ricerca di un pubblico ampio, trasversale e assiduo frequentatore delle sale (le famiglie ed i giovani), ed il prezioso patrimonio di idee disponibile in libreria.
Ci sono voluti tre anni di lavorazione per una pellicola che forse pochi si attendevano dallo Snyder di 300 e Watchmen.
Un film per i suoi figli, come dicono almeno una volta nella vita tutti gli attori e tutti i registi, non fumettistico, meno cool e d'effetto - benché non privo di violenza - ma sempre visivamente spettacolare.
E' però proprio nel target il primo problema di Il regno di Ga'hoole. Dovrebbe accontentare quasi tutti, eppure di primo acchito pare troppo guerresco e serio (la comicità, caso singolare, è ridotta davvero all'osso) per i bambini e troppo ingenuo e lineare per i più grandi. In realtà i preadolescenti dall'anima dark amano azione e battaglie, specie se spettacolari, e si attestano il pubblico più adatto al film, mentre ai più piccoli mancheranno immediatezza e risate. Più difficile invece che la pellicola riesca a catturare ragazzi più grandi ed adulti.
La leggenda dei Guardiani racconta la più classica contrapposizione tra il Bene ed il Male, ma anche l'importanza dei sogni e dell'impegno del singolo che, inaspettatamente, può diventare protagonista di grandi imprese.
Fieri e combattivi, pronti al sacrificio o al tradimento, i gufi sono completamente antropomorfizzati nell'animo e nel pensiero. Alcuni, preda dell'ambizione, arrivano a voltare le spalle ai legami famigliari ed ai doveri della lealtà, altri sono invece inconsueti eroi, più grandi di quanto appaiano. Non è detto che ciò basti a far scattare l'identificazione del pubblico, anche per colpa di qualche semplificazione e qualche carenza nell'approfondimento.
Gli ideali di fondo risultano però chiari nella loro classicità. Nel mezzo risalta anche con una certa evidenza il concetto della "guerra giusta" (che ci riporta dalle parti di 300), senza dubbio l'elemento più sorprendente della storia, che vuol essere edificante ma anche epica.
I gufi funzionano a metà come protagonisti assoluti: meno teneri della media degli animali alla ribalta sugli schermi e probabilmente anche meno affascinanti.
Il regno di Ga'hoole ha d'altra parte il grande pregio di essere nato per il 3D e non averlo aggiunto a posteriori come bonus quasi dovuto, come sempre più spesso siamo costretti a vedere, con effetto appiccicaticcio e poco appagante. Al contrario, in un film incentrato sul volo la visione 3D risulta più che naturale e, per quanto possa far girare la testa a qualche spettatore, non distrae dalla storia ma la racconta.
Il finale lascia esplicitamente aperta la porta al seguito della saga (già pubblicato), ma non è scontato che questo venga messo in cantiere considerando che gli incassi, in rapporto ai costi di produzione, sono stati un po' deludenti. I tentativi a 360 gradi di trasposizione dal fantasy per ragazzi hanno del resto già lasciato diverse saghe incompiute, stroncata al primo capitolo: l'inguardabile Eragon, La bussola d'oro, persino la commedia nera Lemony Snicket.
Zack Snyder vince ancora una volta la sfida a livello di concept visivo: si dà all’animazione digitale, ma vuole un 3D che la rivoluzioni, ragionando in tre dimensioni sin dai disegni preparatori. Tolgono il fiato e, finalmente, valorizzano appieno le potenzialità del mezzo, i numerosi voli dei gufi ad immani altitudini, dove la profondità di campo è sottolineata da gole abissali. Spesso, poi, senza nulla togliere alla funzionalità del racconto, Snyder opta per quadri dove la prospettiva tridimensionale è composita, sfruttando anche il passaggio all’improvviso, davanti alla macchina da presa, di qualcosa o qualcuno per rivelare un altro punto focale. La trasposizione della saga di Katrhyn Lasky (i primi tre di quindici volumi: ‘La cattura’, ’Il grande viaggio’, ’L’assedio’), che immagina un ordine di “puri” gufi Tito (da Titus di Shakespeare?) con idee fasciste (razza superiore, giovani da plasmare, odio da seminare), lascia a bocca aperta anche per il design improntato ad una fotografia-nebbia che esalta le tinte delle albe autunnali, impregnate di marroni, verdi muschiati, bianchi lattiginosi. I barbagianni vivono in un mondo cupo, che sia il sottobosco o la base dei Tito immersa nelle rocce o il regno di Ga’Hoole con il gigantesco albero (luogo di “luce” che, per coerenza estetica, non s’illumina a giorno). Prodigioso il lavoro della Animal Logic (con Snyder anche per 300) sull’espressività degli sguardi, le piume dei volatili, le coreografie in battaglia sottolineate dagli amati ralenti del regista. La parte più debole è la sceneggiatura, più stereotipata della figuratività, intenta a disegnare personaggi e situazioni malefiche/spiritose standard se non, a tratti, mediocri: la soccorre un racconto che inventa situazioni orrifiche potenti, dall’ipnosi lunatica dei gufetti catatonici ai metalli che imprigionano in ragnatele d’energia per diventare pasto di pipistrelli succhiasangue. Non è certo una pellicola per bambini, nonostante la miope distribuzione italiana l’abbia, in molte città, relegata ad orari pomeridiani: sicuramente non ha ottenuto l’attenzione di critica che avrebbe meritato.