OH, UOMO

Anno Produzione2004

TRAMA

Il film chiude un trittico sulla Prima Guerra Mondiale. Dagli emblemi del totalitarismi alla fisicità individuale della sofferenza umana. Catalogo anatomico del corpo ferito. Le conseguenze del conflitto sull’infanzia nel 1919-1921. Dalla decostruzione alla ricomposizione artificiale del corpo umano.
Ma che umanità è questa che dimentica e permette il ripetersi dell’orrore?

RECENSIONI

Gianikian e Ricci Lucchi partono da filmati di repertorio di cinema di propaganda e, rovesciandone l’ideologia originaria, scavano nei fotogrammi e rielaborandoli, assemblano un film tragicamente e perennemente contemporaneo. I materiali - immagini mediche che ci mostrano le atroci conseguenze della guerra sul corpo dei superstiti (solo all’inizio qualche sprazzo di luce, con le meravigliose immagini degli sciatori virate in negativo) - costituiscono la precisa e (ci viene da dirlo) assoluta descrizione di un orrore. Una settantina di minuti di cinema senza parole, in cui l’immagine significa tutto e in cui si affida allo spettatore il gravoso compito di elaborarne il drammatico, a tratti insostenibile contenuto (l’operazione all’occhio è un colpo durissimo che costringe diversi presenti ad abbandonare la sala). Il dubbio da parte degli autori sulla liceità di un lavoro su filmati di questo tipo c’è stato, ma la possibilità di confrontarsi con un senso di colpa a posteriori è stata fugata dalla consapevolezza di ossequiare i mutilati, coloro che portano addosso per sempre le tracce visibili dell’incubo che hanno vissuto nei campi di battaglia poiché, come scrisse Schnitzler, non se ne comprende il motivo ma, solo la morte è ad onore della patria, mai l’amputazione.
Solo alla fine le parole: cantate da Giovanna Marini, tratte da diari e lettere dei soldati, ci dicono che la Storia si respira e risiede in questi documenti, altrove è comunque e sempre manipolata.
Dare un voto a OH, UOMO suona offensivo quasi quanto l’applauso che ha accolto la fine della sua proiezione.

Cerchiamo di dare un’identità a questi anonimi dimenticati, di cui non compaiono nome, luogo del ferimento, indicazioni sulle loro vite. Le identità appaiono da gesti, sguardi, espressioni, dettagli, oggetti sfuggenti nello scorrere del tempo cinematografico costante. Espressioni mute di rabbia  e d’imbarazzo nell’essere costretti a posare per una camera cosiddetta “scientifica e medica”. Impossibilità di nascondere i segni della guerra sul proprio corpo. Anzi forzati a metterli in evidenza…