Thriller

ALEXANDRA’S PROJECT

Titolo OriginaleAlexandra's Project
NazioneAustralia
Anno Produzione2003
Genere
Durata100'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Come regalo di compleanno al marito, allontana i figli e lo costringe alla visione di una videocassetta in cui il vicino la palpeggia.

RECENSIONI

Panic Room

La macchina da presa scivola sui viali immersi in un silenzio inquietante, attraversa una finestra serrata e rivela lo sguardo mesto di Una Moglie che sputa sull’immagine riflessa nello specchio, prima di fissarla sul nastro magnetico che torturerà l’aitante e superbo marito. L’esemplare suspense di De Heer si gioca sulle grida implose dell’anima, sull’attesa e su segnali d’esasperazione che non trovano riscontro oggettivo: l’uomo odiato, in fin dei conti, è premuroso con i figli e operoso sul lavoro. La macchina da presa, con carrelli all’indietro, (ci) aliena la figura della donna: quale segreto nasconde? Quale progetto ha in serbo la sua follia (se è follia)? Chiusa in una Panic Room che simboleggia la sensazione claustrofobica del suo rapporto di coppia, ha un piano che esegue col cuore spezzato, come non avesse scelta. La festa a sorpresa per il coniuge è una prigione al buio che replica la sofferenza provata per tutti questi anni: la sua è vendetta biasimevole quanto giustificabile. Gli stilemi del thriller, angosciante e sorprendente, non sono mai gratuiti e poggiano sull’allegoria dell’incomunicabilità massacrante di coppia, con due tipi di violenza a confronto: quella sotterranea, invisibile e a piccole dosi di Lui e quella premeditata, sadica, spietata (con l’attenuante che può avere l’animale ferito) di Lei. L’immagine fissa, in-pausa, è quella che si ha della persona data per scontata; il fast-forward è il non-ascolto. Solo il miraggio di uno strip, la minaccia della morte e la dimostrazione che chiunque può divertirsi con una vagina in affitto portano l’uomo (che ha sposato il corpo, non l’anima) ad aprire gli occhi per colmarli di lacrime. È agghiacciante il passaggio da vittima a carnefice della donna, fra menzogne crudeli e sadismi da Videodrome, ma la follia che ci circonda è un nostro parto. S’entra nel territorio dell’assurdo, dove la messinscena diventa realtà, dove si mortifica ciò che è stato mortificato e si progetta meticolosamente l’annullamento di un’esistenza che ha annullato la nostra (vedi Bad Boy Bubby).

Sesso, Bugie e Videotape

Il film dell'australiano Rolf de Heer offre uno spunto molto originale per affrontare l'incomunicabilita' che si cela dietro gesti, sguardi e parole routinarie all'interno di un nucleo familiare, ma perde progressivamente lucidita' finendo per compiacersi di conclusioni inutilmente grevi. La situazione di partenza e' intrigante: il marito compie gli anni, si sveglia raggiante al mattino, riceve gli auguri degli adorati figli, in ufficio ottiene pure una promozione e si attende per la sera una festa a sorpresa dalla moglie. In effetti sorpresa sara', ma quanto di piu' lontano dalla sua immaginazione. Il regista ha il pregio di costruire con pochi dettagli un'atmosfera carica di inquietudine, creando curiosita' sugli sviluppi narrativi. L'immedesimazione con i personaggi, pero', cala progressivamente a causa di psicologie, inizialmente sfaccettate, ma via via sempre piu' schematiche. Dietro la quiete solo apparente e la ferocia di un rancore accumulato in anni di muto distacco, infatti, il modello di coppia rappresentato è dei piu' triti; banale, tanto per restare ai luoghi comuni, anche per gli aneddoti da bar tra uomini in cerca di conferme alla propria virilita', o per le confidenze tra colleghe, timorate ma non troppo, in sala mensa: lui arrogante e sempre arrapato, lei mero oggetto sessuale alla disperata ricerca di affetto. Sulla pellicola aleggia costantemente il monito "attento maschio, cerca di capire con attenzione le esigenze della tua compagna se non vuoi fare la stessa fine". Il problema e' che il film assume un'unilateralita' nello sguardo difficilmente condivisibile, non mettendo mai in discussione l'assurdita' della situazione e, soprattutto, non ponendo l'accento sul fatto che la comunicazione si fa in due e che incolpare gli altri della propria insoddisfazione significa deresponsabilizzarsi. In pratica non si limita a mostrare la degenerazione a cui l'incapacita' di dare voce ad un disagio puo' arrivare, ma tenta in qualche modo di giustificarla, con un irritante rapporto causa/effetto. Il cinema ne esce comunque meglio della lezione morale, grazie all'abilita' del regista nello sfruttare i limiti oggettivi di un unico set, angusto e buio, attraverso una messa in scena claustrofobica ma non teatrale. La sceneggiatura alterna trovate efficaci (il tumore al seno, il piercing, l'escalation narrativa del videotape di cui la moglie si rivela abile regista) a inutili lungaggini (gli "stop" e i "rewind" del marito che coprono maldestramente la loro funzione di stratagemmi per allungare il brodo) e svolte illogiche (la conclusione grottesca, il "ruolo" nella vicenda del vicino di casa, la reazione paradossale del protagonista al violento atto di accusa). Il problema fondamentale del film e' quindi soprattutto quello di proporsi come un tentativo di estremizzare i non detti di un rapporto affettivo, per poi giungere a deduzioni vecchie come il cucco, vagamente moralistiche dietro alla patina provocatoria e, cosa peggiore, dallo scarso valore aggiunto. Controproducente il trailer, che anziche' giocare sul mistero dei presupposti, brucia con ben poca lungimiranza tutti, o quasi, i colpi di scena.