ZMEY

TRAMA

La giornata di un poliziotto addetto alle esecuzioni in una prigione, dalla prima mattina alla sera.

RECENSIONI

Poco più di un'ora per ritrarre la vita familiare e lavorativa di un uomo, un poliziotto oppresso da un mestiere, quello di boia, e da un figlio paraplegico che spera di riuscire a far operare: per fare questo però deve continuare ad incassare l'indennità lavorativa per altri due anni, ben oltre le limitazioni delle regole.
Un'atmosfera oppressiva copre la prima opera di Aleksei Muradov che per ogni ambiente attraversato dal protagonista ritaglia sequenze dettagliate e prolisse per inquadrare il dramma dell'uomo. Non si forniscono dati esterni, s'intuisce di trovarsi in URSS, in una cittadina periferica fatta di palazzoni da edilizia sociale e strade sterrate. Opprimente anche perché coperto da un velo verdastro "Zmej" ("L'Aquilone" che il figlio sogna di far volare), claustrofobico nel perlustrare ambienti cadenti e angusti, porta un carico di violenza repressa indicibile, l'attore protagonista è pure energia compressa, ogni movimento crea timore ma troppo poco si fornisce per essere realmente efficaci. L'impressione è quella che si trattasse d'un soggetto per un cortometraggio quello che poi è divenuto "Zmej", a partire dall'incipit con la presentazione di personaggi collaterali di puro inquadramento per continuare con le lampanti sequenze all'interno della prigione: i raccordi sono però deboli, privi della densità ideativa che è evidente caratteristica di questi nuclei.
Seppure il dolore umano viene esplorato in una molteplicità di sfumature assai efficaci e la direzione d'attori sia encomiabile, il film rimane un ibrido che non ha né la virulenza del corto né la densità del lungometraggio mortificando così talento ed impegno.