TRAMA
Dilawar, un ribelle diciassettenne del Kashmir, vive nella periferia della città di Srinagar con il severo zio, un muratore che lo accoglie quando la madre adottiva lo abbandona. Per sbarcare il lunario lavora come apprendista nella squadra di muratori dello zio; odia, però, questa vita e pensa segretamente di lasciare lo zio e raggiungere la madre adottiva a Delhi. Durante una commissione all’ufficio spedizioni Dilawar incontra Bani, una brillante giovane rientrata da poco a Srinagar dopo aver terminato gli studi in America, che Dilawar riconosce per averla recentemente borseggiata…
RECENSIONI
Zero Bridge, punto di partenza e insieme di arrivo del film, con un ampio movimento circolare racchiude l’eco di un paese immobile (il Kashmir occupato e conteso tra India e Pakistan) e la difficile convivenza di Dilwar e Bani, i due giovani protagonisti, con il suo clima di rigore militare e culturale. Tutte le direzioni imboccate dai due finiscono infatti per interrompersi in un percorso quasi sempre obbligato, tanto da sospendere ogni visuale sopra un gretto isolamento. Eppure, esiste forse una via d’uscita da percorrere insieme...
Il Kashmir distende sullo sfondo del film una diffusa luce atona, come se l’immagine avesse inalato dalle acque del fiume Jhelum il colore di un prolungato ristagno. Proprio sopra questa non-luce, i sentimenti dei due protagonisti vibrano come riflessi di speranza (il sogno di una nuova vita altrove) arrivati da lontano. L’attenzione di Tariq Tapa, newyorkese di origini kashmir qui al suo primo lungometraggio, registra con partecipazione le traiettorie di questi sentimenti, talvolta affrancandoli dal resto (e riuscendo così a coglierne tutto lo struggimento di sguardi persi nel silenzio del mondo), talvolta mortificandoli in un grigio contesto. Il risultato ha l’intenso retrogusto di una fragilissima storia d’amore inquinata dalla realtà.
