TRAMA
Anni 50. Il corpo di una donna viene rinvenuto in un fiume della Scozia. Incidente? Suicidio? Omicidio? La polizia sembra propendere per l’ultima ipotesi e concentra i sospetti sull’uomo sposato con il quale la donna negli ultimi tempi intratteneva una relazione. Ma uno degli uomini che ha scoperto e recuperato il cadavere, durante la navigazione su una chiatta, sa che l’indiziato è innocente
RECENSIONI
In YOUNG ADAM una regia velleitaria vorrebbe mischiare thriller e psicologia, erotismo e tragedia puntando su atmosfere sospese e interrogative, affidandosi al verde delle acque e alle tonalità livide di una fotografia curatissima, giocando di riflessi liquidi e scorci subacquei, vedute dall'alto e paesaggi fluviali, ritagliando porzioni di corpi, spiando il sesso tra i protagonisti, concentrando, quando può, il dramma nell'ambiente chiuso di una chiatta (siamo lontani da L'ATALANTE, pensiero obbligato guardando alcune sequenze) o di un'alcova ma lasciando tutto, alla fine, sul piano del mero tentativo, a nulla valendo gli sforzi di Mac Kanzie di costruire gradatamente tensione e dramma. Del giovane Joe, sciupafemmine impenitente, impelagatosi in una relazione adulterina con la moglie del suo compagno di lavoro, si viene subito a conoscenza del legame con la vittima mentre di questa si scopre la natura accidentale del decesso: la paura del giovane, che era presente al momento dell'incidente, di un coinvolgimento fatale lo spinge a non scoprirsi e ad accettare, con tormentato cinismo, la condanna a morte di un innocente. I temi tramici sui quali si fonda la storia del film (i continui triangoli, le scopate cadenzate a intervalli pressoché regolari, i flashback che ricostruiscono la storia d'amore tra Joe e la donna morta, la freddezza e l'indecisione etica del personaggio prncipale) sono trattati svogliatamente, impantanandosi il regista in alcuni momenti fastidiosamente letterari, altri di una sessualità posticcia (i duetti Mc Gregor Swinton, Mc Gregor Mortimer e altri eventuali e vari - Joe non se ne fa sfuggire una -) che vorrebbe essere ad ogni costo torbida al punto da scivolare presto nel ridicolo (la scena del quasi stupro "alla crema") e in un tormento che possiamo solo intuire ma di cui le immagini non ci restituiscono neanche la lontana parvenza. Il film si trascina stancamente tra le nebbie di una sceneggiatura fallimentare (tratta dal romanzo dell'autore scozzese Trocchi) che annaspa sulla superficie di un fiume immobile di parole e amplessi arrischiando, disperatamente quanto infruttuosamente, il disegno (in)decente della figura del protagonista che immaginiamo, quando non affetto da letargia, scrittore dannato che si libera pezzo per pezzo (alla lettera) del ricordo di una relazione che lo ha evidentemente (?) segnato nel profondo; del tutto allo sbando la raffigurazione degli altri personaggi e allo stato di mera ipotesi l'evoluzione delle loro relazioni.
Inutilmente lungo, mortalmente noioso, YOUNG ADAM, prodotto da Jeremy Thomas, inopinatamente vietato ai minori di anni 18, spreca anche un cast di tutto rispetto e l'occasione di una produzione sostanziosa quasi integralmente scozzese. Unico motivo d'interesse della pellicola resta dunque la colonna sonora che segna il ritorno al soundtrack di David Byrne: uno score affascinante, vario ed ombroso (anch'esso all scottish: suonano con l'ex leader dei Talking Heads - che, ricordiamolo, è nato a Dumbarton - membri dei Mogway, Reindeer Section, Belle & Sebastian e The Delgados) suggellato da un brividoso The Great Western Road, unico pezzo cantato che chiude, in modo indegnamente regale, una pellicola da dimenticare.

Dopo molti cortometraggi il regista David Mackenzie, alla sua opera prima per il cinema, tenta strade inconsuete ma scivola nella pretenziosita'. Fin dal titolo, uguale al romanzo dello scrittore "beat" Alexander Trocchi da cui trae origine ma, con tutta probabilita', dispensatore di ben altre implicazioni sulla pagina scritta. Nessun personaggio si chiama infatti Adam, ma il biblico nome rievoca la natura piu' intima dell'uomo, il crogiuolo delle pulsioni piu' primitive, il vagare del protagonista Joe senza alcuna meta tra malinconia e cinismo in cerca di appagamento momentaneo, sfuggendo un senso all'insoddisfazione perenne e con nessuna Eva con cui condividere il cammino. Non facile infondere un taglio esistenziale a una storia che si preannuncia thriller (il ritrovamento di un cadavere nelle acque del fiume Clyde) e, purtroppo, un certo disequilibrio rende vane entrambe le opportunita': il mistero viene svelato con troppo anticipo e i tormenti del protagonista Joe non arrivano mai allo spettatore, confezionati con grande cura e imbellettati da ritmati accoppiamenti, ma privi di spessore comunicativo. Dopo un inizio promettente, con un'azzeccata caratterizzazione di ambiente, la vicenda si arena presto nella noia, senza sapere piu' dove andare. Tanto che la sceneggiatura (maggiore responsabile della non riuscita del film) moltiplica e dettaglia gli amplessi e aggiunge personaggi inutili (la sorella della Swinton) per riempire i vuoti narrativi. Tutto cio' che e' esterno alla vicenda funziona a dovere, dalla ricostruzione storica della Glasgow anni cinquanta, alla durezza del lavoro sulla chiatta. Come anche i sinuosi movimenti di macchina, la ricercata fotografia, la morbida colonna sonora di David Byrne (struggente la canzone "The Great Western Road" che conclude il film) e pure le interpretazioni degli attori: e' sempre un piacere ammirare il carisma naturale di Peter Mullan, inquieta l'aliena personalita' di Tilda Swinton e, lontano dai blue-screen di "Star Wars" e dalle canzoni di "Moulin Rouge", riacquista espressivita' anche il non solo figaccio Ewan McGregor. Cio' che proprio non funziona e' l'impianto narrativo, sfilacciato e fuori fuoco, che vanifica ogni sforzo impaludando il film in un limbo di indifferenza che, come tale, non riesce a sedurre. Resta qualche bella immagine e l'innegabile capacita' di creare un'atmosfera, ma dietro alla superficie laccata si fatica a trovare un perche'.
