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TRAMA
Shelly ha ventitre anni ed è uscita da poco da un ospedale psichiatrico. Decisa a intraprendere la carriera di attrice, partecipa a numerose audizioni, ma con scarsi risutati a causa dell’eccessiva emotività con cui vive questi esami. L’amicizia, specialmente con le altre donne, è teatro di profondi conflitti e gli incontri occasionali con gli uomini non hanno la minima speranza di trasformarsi in vere storie d’amore. Solo parlare con il suo psichiatra aiuta Shelly a trovare un senso alla propria esistenza (dal catalogo del TFF)
RECENSIONI
I dolori della giovane Stella Schnabel (protagonista, co-sceneggiatrice, ovviamente figlia di cotanto padre) si dispiegano nel ritratto di una persona disturbata - dalla scala dei bisogni appagata quasi sino al vertice, tanto da poter fare delle relazioni con gli altri, del proprio difficile rapporto con la madre e delle proprie vane ambizioni il fulcro di un’esistenza -, in frammenti che cristallizzano l’ essenza intima del personaggio nell’alternarsi di differenti formati, nel susseguirsi di momenti esistenzialmente rilevanti, nell’impero della digressione drammaturgica introspettiva: fighettismo underground, più che indie, sperimentazione trita e sincera, un’opera ingenua, adolescenziale e autoassolutoria, sterile come un gesto onanistico, fastidiosa nello scialo consapevole e insistito della corporalità, della carne vera della protagonista, nel ricorso ad un eloquio vivo, mai ripulito, che alterna frasi da Smemoranda a dialoghi inaspettatamente acuminati, il dolore costruito a quello pulsante. Un’opera totalmente aderente al personaggio principale: ne rigurgita i pregi e i difetti in forma cinematografica; al termine della proiezione si è conosciuta, davvero, una persona in più. (Il fatto che sia insopportabile è una verità priva di spessore e non può essere considerata un demerito della pellicola.)
