Drammatico

YOU WILL DIE AT 20

NazioneSudan, Francia, Egitto, Germania, Norvegia, Qatar
Anno Produzione2019
Durata103'
Montaggio

TRAMA

Sudan, provincia di Aljazira, ai giorni nostri. Poco dopo la nascita di Muzamil, una profezia del santone del villaggio rivela che il neonato morirà a vent’anni. Il padre del bambino che non accetta la maledizione decide di partire abbandonando la famiglia e lasciando una iper-protettiva Sakina da sola a crescere suo figlio. Arriva il giorno in cui Muzamil compie diciannove anni…

RECENSIONI

Vincitore del Leone del Futuro per la miglior opera prima alla 76. Mostra del Cinema di Venezia, è all’apparenza il prototipo perfetto del film esotico da festival: provenienza rara (il Sudan), una sensibilità marcata per l’aspetto visivo, una premessa di logica quasi fiabesca che serve su un piatto d’argento le dicotomie classiche del racconto di formazione terzomondista: il destino di un individuo contro la pressione collettiva del villaggio, la bieca tradizione contro la liberatoria modernità. C’è però ben più di questo nell’esordio di Amjad Abu Alala, film che, al netto dei suoi limiti, si pone come un tentativo toccante e sincero di dar testimonianza di un mondo di mezzo. Non si tratta infatti solo di un territorio cinematograficamente poco esplorato, ma soprattutto una regione culturale che vive in maniera radicale lo scontro fra superstizioni arcaiche e moderne consapevolezze. Se la storia è ambientata nell’oggi, la violenza del retaggio tradizionale sbalza continuamente la narrazione in una dimensione di realismo sospeso, sospeso come la condizione del protagonista, il “figlio della morte”, a cui alla nascita viene predetto che morirà a 20 anni: la continua ricerca di una normalità quando sai che la morte arriverà prima del tempo per decreto divino, diventa un percorso in un limbo di incertezze, emarginazioni, di posizioni emotive e sociali che richiedono un continuo riallineamento. In questo You Will Die at 20 sembra volersi spingere oltre, verso un ritratto al contempo fattuale e simbolico di un paese – il Sudan – piagato da una dittatura autoritaria trentennale. La sospensione percettiva a cui ambisce il regista – aiutato dalla fotografia di Sébastien Goepfert, che lavora sui contrasti cromatici, sull’estetizzazione compositiva delle scene oniriche – viene ulteriormente sottolineata dalla caratterizzazione sfuggente dei personaggi, il cui percorso di consapevolezza e trasformazione non segue una traiettoria lineare, ma è soggetto alle stesse limitazioni che la propria condizione impone. La madre del protagonista, Sakina, viene così consegnata ad una sfera emotiva in cui dolore e ineluttabile senso del fatalismo sono le uniche percezioni ammesse: il destino è ingiusto ma inevitabile, impossibile da combattere. Al giovane Muzamil viene invece affidato il compito di vettore narrativo fra i frammenti contrastanti che compongono la realtà sudanese, dall’ambiente della scuola coranica (e, suggeriti, gli abusi che vengono compiuti al suo interno) alla trasgressione della libertà, impersonata da Suleiman, un uomo che vive in compagnia di una prostituta e che introduce il protagonista alla magia del cinema, testimonianza dell’esistenza di un mondo nuovo, di un mondo diverso, al di fuori delle restrizioni mentali del villaggio. È infine interessante notare come, per il secondo anno consecutivo, Venezia presenti nel suo programma – o meglio, nel programma delle sue sezioni collaterali – un’opera dal Sudan. Nel 2018 toccò al debutto di Hajooj Kuka, aKasha, che trasfigurava il dramma della guerra civile in una commedia degli errori sghemba ma senza precedenti. Il 2019 porta invece questo You Will Die at 20 che, con toni più seriosi e consapevoli, aggiunge un nuovo tassello alla voce di una terra che non vuole essere dimenticata e che grida il proprio bisogno di (auto)rappresentazione. Il cinema africano vive.