TRAMA
Il signor Morris prende tutti i carcerati fuori sulla parola a lavorare nel suo grande magazzino. Joe ha pagato il suo debito con la giustizia e s’innamora della collega Helen, la sposa ma scopre solo in seguito che è ancora una detenuta. Frustrato, si rimette con la gang per un colpo.
RECENSIONI
Il Norman Krasna di Furia fornisce a Fritz Lang un altro soggetto incentrato sull’esistenza del criminale e l’ardua vita che deve condurre per provare, se lo vuole, di poter essere una brava persona. A Lang interessa soprattutto tematizzare la linea sottile che divide la vita “normale” dalla ricaduta nel male quando tutto va storto. Difficile non collegare questi pensieri alla sua Germania in preda alla follia nazista e al tema della colpa e della redenzione, dell’innocenza e di come la società o le delusioni sentimentali e i legami pregressi possano trasformare in mostri. Ma il film non è solo un cupo dramma: come altre volte nel suo cinema (vedi, ad esempio, Fred il Ribelle), il tutto parte spensierato, fra amore e macchiette (impagabile il tonto criminale di Warren Hymer). Poi le maglie si stringono nella morsa ed è geniale l’espediente con cui Helen convince i criminali che il crimine non paga (non per la prigione o i poliziotti: esegue alla lavagna un calcolo di spese e introiti dopo un colpo). Il cruccio del Joe di George Raft e della Helen di Sylvia Sidney (attrice feticcio di Lang) è di non essere accettati quando si sa del loro passato ma quest’ultima si macchia della colpa della menzogna. Harry Carey è l’imprenditore illuminato che ritiene giusto dare una seconda chance a chi ha sbagliato: infine il film si trasforma in una fiaba (quasi capriana) dove la fratellanza criminale serve anche per unire due cuori.
