BIENNALE CHANNEL, Drammatico

YEMA

Titolo OriginaleYema
NazioneAlgeria, Francia
Anno Produzione2012
Durata90'

TRAMA

Una casupola abbandonata nella campagna algerina. Ouardia ha sepolto qui il figlio Tarik, un soldato forse ucciso dal fratello Ali che è a capo di un gruppo islamista. È sorvegliata da uno degli uomini di Ali che ha perso un braccio in un’esplosione. In questo universo teso, carico di dolore e indebolito dalla siccità, la vita si impone nuovamente un po’ alla volta. Grazie al giardino che Ouardia fa rinascere a forza di coraggio, lavoro e testardaggine. Grazie al sorvegliante, anch’egli una vittima, alla fine adottato da Ouardia. Grazie soprattutto all’arrivo del figlio di Malia, una donna amata dai due fratelli e morta di parto. Ma Ouardia non è giunta ancora al termine delle sue sofferenze. Ali, il figlio maledetto, ritorna gravemente ferito.

RECENSIONI

Tre figure in un paesaggio arido (la yema-madre Ouardia, Ali, il guardiano), una casa alla fine del mondo. Intorno, l’eco lontana di una guerra fratricida che insanguina il paese da sempre e che pare aver perso di vista cause e ragioni. Nulla si sa e nulla si saprà, infatti, delle dinamiche dell’uccisione di Tarek ad opera del fratello Ali. Ciò che importa non è la causa, sono gli effetti e gli affetti del gesto: il fratricidio, il dolore e il colpevole desiderio di vendetta di una madre. L’attrice e regista algerina Djamila Sahraoui firma un’opera dall’impostazione teatrale (rispetto dell’unità di luogo: tutto si svolge sulle montagne dell’entroterra algerino) spoglia, sincera, pudica (la violenza è tutta fuori campo). Straordinaria mater lascrimosa, Sahraoui opta per uno stile piano e asciutto (piani medi, inquadrature fisse), in grado di dar conto, direttamente e senza fronzoli, di un dolore assoluto che non ammette scioglimenti e redenzioni. Concedendosi solo qualche sporadico “pezzo di bravura“, l’autrice/attrice punta tutto sull’interazione a distanza e sullo scambio preverbale (sguardi, gesti, movimenti) dei tre poli dell’azione, cristallizzazione antonomastica delle tre figure della violenza perpetrata (il Terrostista Ali), “agita“ (il giovane Guardiano, ingenuo e ignaro complice) e subita (Tarek, la Madre Ouardia). Il microcosmo rurale diventa cosi, senza enfasi ed eccessi, il riflesso di un paese diviso che perpetua, come per inerzia, la sua lotta intestina, avendo smarrito le cause stesse del conflitto.