TRAMA
L’ex detenuto Kermek sogna di aprire un cinema sperduto tra le montagne. Nonostante l’incontro salvifico con la prostituta Eva, non riuscirà a lasciarsi alle spalle il suo passato criminale e una banda locale lo perseguiterà fino alla tragica fine.
RECENSIONI
Come il sogno del suo protagonista, certamente nobile e romantico ma troppo personale e in fondo impotente di fronte alla crudezza della vita reale, il nono film del kazako Yerzhanov pecca di una certa vacuità di fondo, ammantata di una poesia a tratti irresistibile ma povera di vero significato. Se è difficile non guadagnarsi il cuore dello spettatore con l’amabile goffaggine di Kermek, il naturale magnetismo di Eva, il nostalgico infantilismo diffuso (sancito dai titoli manoscritti dei capitoli) e il profluvio di buffe citazioni da classici del cinema (Frank Costello faccia d’angelo, Cantando sotto la pioggia, Taxi Driver…), il gioco è però effimero come una fuga d’amore, illusorio come il tavolino di un bar disegnato sul fianco di un edificio abbandonato nella desolazione della steppa. Malickiano (la coppia in fuga – completa di chioma rosso fiamma – e lo xilofono orffeggiante di La rabbia giovane, la struggente fotografia wyethiana di I giorni del cielo) ma non altrettanto contemplativo, è il film stesso a diffidare della propria potenza, in una chiusura finalmente affermativa e piuttosto disfattista, dove il Cinema soccombe, calpestato dai bruti, e i due sognatori vengono schiacciati nel (e quindi dal?) guscio di eburnea privatezza di una fragile barca di tela arenata nel deserto, prima di elevarsi in extremis, issati da un elicottero che porta via la poesia e la bellezza da un mondo che non le merita.