TRAMA
Con la famiglia che si è mossa da Buenos Aires ad una località costiera del vicino Uruguay, coltivando la speranza che almeno lì chiacchiere e malignità siano messe a tacere, l’adolescenza di Alex si rivela tutt’altro che serena. Quando la differente natura che la/lo contraddistingue diventa di pubblico dominio, si crea un pericoloso cortocircuito tra quel clima di diffidenza se non addirittura di aggressività percepibile attorno a lei/lui, e il manifestarsi in Alex di pulsioni sessuali vissute in modo problematico. L’arrivo, peraltro non casuale, di Alvaro e della sua famiglia avrà a casa di Alex un effetto dirompente, turbando equilibri emotivi fin troppo precari…
RECENSIONI
Il gender – concetto solo nel 1975 introdotto ufficialmente nel dibattito scientifico, grazie al saggio di Gayle Rubin The Traffic in Women che lo identificava con la dimensione culturalmente determinata del sesso – potrebbe costituire la soglia oggi più avanzata del cinema della conoscenza. Dopo i pionieristici tentativi del cinema underground e i gelidi furori fassbinderiani di Un Anno con 13 Lune (1978), e ove si ecettuino fenomeni di innocuo folklore cinematografico, altri erano stati i percorsi, alquanto vaghi seppure benintenzionati, di un'arte impegnata a denunciare, a perorare, a compatire, a mobilitare. Semmai, il tema era stato mimetizzato (o rivelato, se si preferisce) in opere prima facie insospettabili e tetragone all'ambiguità inevitabilmente legata alla messa in discussione dell' ovvio sessuale; ma che dall'acuta rappresentazione di gruppi umani fortemente cementati dall'appartenenza di genere – una rappresentazione talora spinta a tale sgradevole incorrectness da attirare accuse di machismo, misoginia, omofobia, fascismo e chi più ne ha più ne metta – lasciavano trapelare l'artificio e la violenza di quella identificazione.
Nell'ultimo decennio il tema ha progressivamente conquistato una non trascurabile posizione; ma la prospettiva di gran lunga preferita dagli autori è quella dei racconti di formazione sentimentale, volti a catturare l'empatia o a irretire la simpatia dello spettatore in virtù non solo della materia stessa (che non manca di entrare in sintonia con un pubblico in cerca di commozione), ma pure di vari espedienti: dal più semplice – proiettare la vicenda all'indietro nel tempo onde sollecitare un generico umanitarismo che non chiami in causa il qui e ora, ma anche l' ovunque e sempre, del discorso sulla sessualità; al più subdolo – il ricatto delle lacrime. Con l'effetto gratificante di mostrare il tema dell'identità di genere come una specificazione di quello della tolleranza, che solo l'ignoranza dogmatica e superstiziosa del passato o la stupidità razzista e fobica del presente possono impedire; mentre costituisce l'articolazione più radicale degli interrogativi sui processi culturali e sociali (perciò anche psicologici).
XXY gioca le sue carte all'interno del filone che abbiamo descritto, ma lo fa con onestà drammatica (bando al facile melodramma, e largo agli spigoli e alle contraddizioni di personaggi carichi di ombre) e con una semplice efficacia narrativa.
Tutti attorno ad Alex sono turbati dalla sua singolarità, e dal dubbio che la sua ambiguità veicola: l'antico, terrorizzante dubbio della non coincidenza fra corpo e regola, tra biologia e cultura; esso ci tocca personalmente e nel profondo, e può essere rimosso ricorrendo alla violenza (verbale o fisica), o risolto rifugiandosi nella Norma (la morale, la scienza, la legge), o infine accettato con le anarchiche implicazioni di libertà che ne derivano. Se i genitori decideranno di avere fiducia nella singolarità e nella libertà inclassificabile di quel corpo/individuo, per i due amici del cuore l'incontro con Alex rappresenterà il punto di massima crisi della loro personalità in formazione; ne usciranno trasformati, perché finalmente sentiranno che nulla è semplice nel linguaggio apparentemente univoco della sessualità; che il corpo stesso è esperienza e non essenza; che l'identità di genere è un castello di carte (sia pure infitte nella pietra della Storia), un gioco di fantasmi e di paure, una finzione nel processo costruttivo della cultura; che ogni definizione di sé può bensì essere rassicurante e funzionale, ma nondimeno costituisce una mutilazione. La stessa mutilazione che, sul piano fisico, il medico vuole imporre in nome della scienza, in superficie oggettiva ma in effetti impregnata di ideologia “di genere” [1]: l'operazione che risolverebbe ogni problema, secondo l'amica prodiga di buoni consigli ma cieca di fronte al proprio orrore famigliare e alla propria viltà di madre.
Tutto questo mostra il film, con un linguaggio non lambiccato e solo raramente tale da rivelare l'intrinseca fragilità connessa a una strategia espressiva di taglio intimista. Ma un'arte conscia del proprio limite può riscattare la prospettiva limitata da cui muove, manifestandosi più grande del vero quando sappia inquadrare il cruccio di un'umanità attendibile perché a noi prossima nell'incapacità di assegnare un nome diverso dal pregiudizio al proprio disagio, nel timore per lo sgretolarsi delle antiche certezze, nel vario atteggiarsi di fronte alla contraddizione vivente della pietra angolare nel nostro rapporto con la realtà.
Non è merito da poco il concorrere, in forme plausibili e stimolanti, a tenere aperto l'interrogativo sull'ubi consistam dell'identità, sui rapporti di potere fra chi le definizioni le ha sempre imposte e chi le ha sempre subite; sappiamo infatti che nominare il genere significa immediatamente evocare il potere. Quello sul corpo e la sessualità è un discorso – tutt'altro che neutrale – che produce un sapere, cioè una segnaletica e un codice dell'identità e del comportamento, un complesso dispositivo sociale e culturale; tanto più prescrittivo quanto meno autoritaria ne appare la matrice (oggi, soprattutto quella “scientifica” - il discorso sulla natura – e quella “democratica” - il discorso sulla politica) [2]. Continuare ad analizzare e decostruire siffatto dispositivo può forse essere una fatica di Sisifo, ma è di certo una fatica indispensabile alla consapevolezza dell'uomo.
