TRAMA
Nel 1979, una troupe cinematografica tenta di realizzare un film porno nelle zone rurali del Texas. Tuttavia, quando i proprietari di casa li catturano, devono combattere per sopravvivere.
RECENSIONI
L’horror è il genere che più di tutti si serve delle dinamiche della paura e dell’inquietudine per saggiare e tratteggiare le perturbazioni emotive, psicologiche, esistenziali e le implicazioni sociali, storiche, politiche della società. X: A Sexy Horror Story di Ti West è un horror adulto e citazionista, capace di omaggiare cult e capolavori del passato - Quel Motel vicino alla Palude, Psyco, Shining, Non aprite quella porta - senza mai perdere un grammo della sua personalità. L’anno domini è il 1979. L’America continua ad essere lacerata e divisa. Il fronte giovanile già da un decennio ha dichiarato guerra - attraverso l’arte, la musica, l’amore libero - ai ‘padri’ e alla famiglia (intesa perlopiù come luogo di privazione e sopraffazione). La guerra in Vietnam ha strappato la vita a migliaia di soldati e obbligato i reduci a fare i conti con i loro fantasmi. I giovani filmmaker della scena indipendente e underground tentano di affermarsi nel mondo del cinema con le loro idee rivoluzionarie e, non di rado, infuocate e trasgressive. I generi più invisi - il porno e l’horror - partivano dal presupposto che il corpo fosse il ‘luogo’ su cui far vivere qualunque tipo di esperienza performante, da quella sessuale a quella angosciosa. Ti West parte da qui. Dall’idea metacinematografica su un gruppo di giovani ragazzi e ragazze che si trasferisce in una fattoria isolata per girare un film pornografico/artistico/avanguardistico alla maniera della Nouvelle Vague. I vicini di casa, una coppia di anziani ambigui e inquietanti, darà il via ad una notte di sangue e terrore. Ti West lavora sui temi dell’attrazione e della repulsione, della frustrazione (sessuale e generazionale), del fanatismo religioso che intercetta il male nelle istanze ribellistiche e rivoluzionarie sessantottine. Il falso mito del sogno americano - infranto, abortito, mai compiuto - viene fatto a pezzi e disintegrato. Pearl, la vecchia signora, sembra bramare antichi e mai sopiti desideri di concupiscenza, rispecchiandosi nella conturbante Maxine - determinata a sfondare nel cinema a luci rosse e a diventare una diva. Il rapporto tra le due donne (interpretate dalla medesima attrice, Mia Goth) è quasi ancestrale. Pearl la desidera. Essere lei, più che altro. Avere le sue possibilità, il suo tempo, la sua giovinezza. Quella di Ti West è un’America rancorosa e marcia, abbandonata a sé stessa e tradita. Dentro la quale duellano, darwinianamente, per il controllo e la sopravvivenza della “specie”, vecchie e nuove generazioni. West sporca la scena, la rende pastosa e sgranata come nei film anni ‘70, crea atmosfere tese e malate, si abbandona ai campi lunghi, opta per un vitalissimo montaggio alternato, e filma con ardore e sensualità la natura selvaggia della campagna. L’incipit, che mostra la scena del crimine in 4:3, con i cadaveri sul selciato e il sangue rappreso ed essiccato dal sole, per poi allargarsi con la camera che lenta si avvicina e apre il film (e lo sguardo) al formato in 16:9, è puro godimento cinefilo. Estasi che solo il cinema, al cinema, riesce ancora a produrre.