TRAMA
Wolverine, affranto per la morte di Jean e perseguitato dagli incubi, viene invitato in Giappone dal morente fondatore di una società di alta tecnologia. Difende sua nipote dalla yakuza e scopre che la mutante Viper lo ha privato del potere di guarire.
RECENSIONI
Anche questa secondo spin-off, dopo X-Men - Le Origini: Wolverine, non coglie il segno fumettistico: cattura meglio l’animo tormentato e bestiale del personaggio di Wolverine, con Hugh Jackman (anche produttore) che aumenta la massa muscolare ed il physique du rôle, ma siamo ancora lontani dalla fedeltà alle strisce. Quest’animale, al cinema, è troppo addomesticato. Il regista originalmente designato, Darren Aronofsky, era intenzionato a firmare un capitolo brutale per violenza e forte per sesso (portandosi dietro divieti non graditi alla Marvel-Cinema): James Mangold preferisce improntare un sequel di X-Men: Conflitto Finale, più attento alle emozioni e tormenti che assalgono i suoi personaggi positivi. Indovina la natura “western” del racconto (ma cita anche Chinatown) di Chris Claremont e Frank Miller (1982), con lo straniero in città che, infine, si allontana dalla bella ma, a differenza del fumetto e come Gavin Hood nella precedente opera, non è in grado di far emergere o valorizzare i sottotesti, lo scontro fra l’animale irrazionale ed occidentale con una cultura aliena fondata su rituali e regole ferree, il parallelo fra Wolverine e il ronin, il tema dell’immortalità agognata ed odiata. Argomenti enunciati e non trasmessi. Quando le produzioni Marvel non colgono il segno del racconto, non resta che la spettacolarità in azione: di fantasmagorie, purtroppo, ce ne sono poche, relegate come l’episodio precedente nel finale, contro un samurai-robot. Il 3D esalta la scena del duello sul treno ad alta velocità e quella, magnifica, in cui i ninja conficcano parecchie frecce nella schiena del Wolverine nella neve (fra Lady Snowblood e Il Trono di Sangue), fino a farlo crollare come il grizzly ritratto all’inizio.